Nessuno è stato battezzato prete o vescovo. A proposito di clericalismo

Foto: un’assemblea CEI

PAPA PIO X: I PASTORI GUIDANO, I FEDELI SI LASCIANO GUIDARE

“La Chiesa è per sua natura una società ineguale, cioè formata da due categorie di persone: i Pastori e il Gregge […]. E queste categorie sono così nettamente distinte tra loro […] che la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e di seguire come un docile gregge”. Cosi, nel 1906, scriveva Pio X nella lettera encliclica “Vehementer nos”.
Cosi sta scritto nella Lettera che recentemente papa Francesco ha inviato al presidente della Pontificia commissione per l’America latina e i Caraibi, il cardinale Marc Ouellet, dopo che la stessa Commissione ha dedicato la sua assemblea plenaria all’”indispensabile impegno dei fedeli laici nella vita pubblica dei paesi latino-americani”: “Non è il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia”.
Un cambio di prospettiva non da poco e farà certamente discutere i molti che da tempo stanno soffrendo, più in meno in silenzio, questo pontificato.

PAPA FRANCESCO E IL CLERICALISMO

Papa Francesco, riprendendo l’ecclesiologia del Vaticano II, chiede alle comunità cristiane, e ai preti in particolare, di bandire ogni forma di “clericalismo”, quell’”atteggiamento che annulla la personalità dei cristiani”, che li trasforma in aiutanti dei preti, mentre la loro vocazione è un’altra, del tutto autonoma. Piuttosto la Chiesa deve stare dalla parte della gente, “accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale”.
Per Francesco, “è illogico, e persino impossibile pensare” che i pastori abbiano il monopolio “delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea presenta”. Al contrario è necessario “stare dalla parte della nostra gente accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale”. E questo discernendo con la nostra gente, come direbbe sant’Ignazio, “secondo le necessità di luoghi, tempi e persone”. Ossia non uniformando. “Non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica. La necessaria “inculturazione” della fede “è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”.

IL RUOLO DEL PASTORE

Il ruolo del pastore sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, “come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà – afferma Francesco – ma per diritto e statuto proprio”. I laici sono pertanto “i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro”. Papa Francesco scrive che non bisogna mai dimenticare che la “nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro Battesimo. Nessuno è stato battezzato prete né vescovo. Ci hanno battezzati laici ed è il segno indelebile che nessuno potrà mai cancellare”. E poi chiede ancora una volta ai pastori di stare in mezzo al gregge, in mezzo al popolo: ascoltarne i palpiti, fidarsi della “sua memoria” e del suo “olfatto”, confidando che “lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo “Spirito non è solo ‘proprietà’ della gerarchia ecclesiale”. Questo, avverte Francesco, “ci salva” da certi slogan che “sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità. Per esempio – dice – ricordo “la famosa frase: ‘È l’ora dei laici’ ma sembra che l’orologio si sia fermato”. Succede cosi anche dalle nostre parti?

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