Fin dai tempi più antichi la storia italiana è stata caratterizzata da flussi migratori non di poco conto: colonizzatori, migranti, fuggiaschi e sognatori in cerca di un futuro più roseo vengono da sempre accolti in questa striscia di terra incantevole nel bel mezzo del Mediterraneo. Parlare di immigrazione non è mai stato facile e negli ultimi anni lo è ancora meno. Questo argomento delicato, già in passato, è stato utilizzato dai potenti per trovare un capro espiatorio ai problemi che affliggevano il popolo e c’è chi, ancora oggi, tenta questa via. A testimoniare l’importanza di tale tematica sono proprio i fedeli che hanno partecipato al giubileo dei migranti domenica 18 settembre in centro a Bergamo. Ritrovandosi in quattro luoghi d’incontro diversi, ogni partecipante ha collaborato con persone del proprio continente per costruire un ponte di stoffa e poi irrompere nella quotidianità domenicale bergamasca. Molti passanti osservano con curiosità i cortei colorati che si creano da San Lorenzo, San Giorgio, l’Istituto Palazzolo e il quadriportico del Sentierone, e i fedeli continuano il loro cammino cantando, pregando e ballando fino a piazza Pontida dove si incontrano con i migranti provenienti dai vari continenti. Sono tutti presenti: gli europei rappresentati da un ponte di colore blu, gli asiatici dal rosso, con il giallo gli africani e il verde, invece, è stato affidato agli americani. «Bergamo sta diventando sempre più multiculturale come le grandi città del mondo e chi non ammette questo non può vivere nel nostro tempo» esordisce così l’assessore ai servizi sociali del Comune di Bergamo Giacomo Angeloni accogliendo i fedeli e sottolineando il forte segno del giubileo. Il suo intervento prosegue introducendo il momento successivo. «Nella vita ho dovuto attraversare diverse porte, ma le più importanti sono state quelle che mi hanno avvicinato all’altro e noi cittadini di Bergamo, migranti e non, dobbiamo collaborare per realizzare nel concreto l’accoglienza che viviamo qui oggi». Conclusosi il breve momento introduttivo, i fedeli continuano il loro giubileo compiendo un gesto molto significativo. Tenendosi per mano, i migranti creano delle porte con i loro corpi e a turno attraversano questo lungo tunnel che rappresenta la porta santa del giubileo. Rimane solo un ultimo passo da compiere prima della Messa: intrecciare il futuro. Un’azione in realtà molto difficile ma che diventa naturale e immediata in piazza Pontida dove i quattro teli, o meglio ponti, si legano formando un’unica treccia colorata. Il cammino dei fedeli, ora, può proseguire fino alla basilica di Sant’Alessandro in Colonna dove si tiene una celebrazione eucaristica multiculturale con canti, letture e preghiere nelle diverse lingue dei migranti. Se non bastano i gesti compiuti, le parole ascoltate, le testimonianze e il cammino fino all’altare a far comprende il vero significato di questo giubileo, a spiegarlo e a ribadirlo è proprio il vescovo Francesco Beschi che nella sua omelia rimarca come questa occasione sia un segno di pace tra tutti i popoli. «Attraverso le nostre vite, che sono un linguaggio universale, Dio parla agli uomini per toccare l’umanità di ciascuno di noi e ogni volta che lo avvertiamo, stiamo entrando nel regno della misericordia. Ciò implica una maggiore responsabilità che non ci opprime, ma ci conquista con amore ed è in questi momenti che diventa fondamentale aprire il proprio cuore. Bisogna sempre ricordare che, così facendo, nessuno potrai mai portarci via la gioia del perdono. Noi possiamo essere veri testimoni della misericordia e la via la indica proprio la parola di Dio: ero forestiero e mi avete ospitato (Mt 25, 43). Dobbiamo renderci conto che la migrazione è ormai una realtà e la risposta cristiana dev’essere quella dell’accoglienza personale e sociale di chiunque chiede aiuto. Non accontentiamoci, però, di offrire un posto dove stare e un pasto caldo, andiamo oltre i bisogni fisici e consideriamo l’umanità della persona ascoltando il suo cuore. Compiamo questi gesti con gratuità, umiltà e felicità davanti a Dio e saremo in grado di essere testimoni di misericordia. A voi tutti che siete qui oggi e, soprattutto, a voi migranti dico che siete un segno di speranza per l’accoglienza presente e futura. Entriamo insieme come figli nel regno della misericordia». Queste parole arrivano immediate al cuore dei presenti e si fissano definitivamente quando al vescovo Francesco viene donato un pezzo della treccia che ha accompagnato i migranti sino alla chiesa. Mettendosi sulle spalle il dono ricevuto, il vescovo si fa primo testimone del giubileo simbolo di un cammino non facile da percorre, ma nemmeno impossibile. Per intrecciare il futuro bisogna avere il coraggio e la volontà di coltivare dentro di noi il desiderio d’incontrarci. Da soli può sembrare impossibile, ma insieme diventa realizzabile.