Torre Boldone: restituite all’antico splendore due tele ex voto della chiesa della Ronchella

C’è l’arte dei grandi nomi, ma c’è anche un’arte povera e popolare di artisti ignoti, voluta da semplici cristiani che si sono privati anche del necessario per commissionare opere che potessero tramandare ai posteri eventi drammatici e interventi soprannaturali. È il caso delle due tele ex voto della chiesetta della Ronchella, nella parrocchia di Torre Boldone, fresche di restauro, presentate alla popolazione nei giorni scorsi nella stupenda chiesetta duecentesca dell’Assunta. Sponsor e finanziatore del restauro, effettuato da Roberta Grazioli, è stato don Luigi Cortesi, in passato vicario parrocchiale del paese. «È un regalo molto gradito — ha detto il parroco monsignor Leone Lussana aprendo l’incontro —. Ogni comunità cristiana deve essere aperta alla cultura e alla bellezza, che sono segni di apertura e futuro».

Le due tele vanno inquadrate nei frangenti della tragica peste del 1630 che infierì sull’intera Bergamasca. A Torre Boldone perì oltre la metà dei 400 abitanti, compreso il parroco. I morti furono sepolti in una grande fossa comune in località Ronchella. Cessata la pestilenza fu costruita l’attuale chiesetta, benedetta il 30 novembre 1718, dove furono collocate le due tele. Nella sensibilità coeva, le chiese dedicate ai morti della peste avevano la valenza di chiedere perdono agli appestati per la sepoltura frettolosa e suffragarli, oltre a tramandare ai posteri l’evento storico. Una tela, datata 1720, raffigura la Madonna con il patrono San Martino che indica la chiesetta e degli scheletri con le mani alzate, cioè gli appestati defunti, felici di aver salvato l’anima grazie alle preghiere dei vivi e alla misericordia della Beata Vergine. C’è anche un particolare del paese dell’epoca. La seconda tela, più grande e ricca di colori, non datata ma coeva dell’altra, raffigura Maria, San Girolamo e San Nicola da Tolentino. Sotto una grande scena: il lazzaretto con le celle degli appestati poveri e una sfarzosa di un appestato ricco; alcuni cadaveri, il paese dell’epoca, un parroco e alcuni devoti guariti o con i segni del morbo. «Queste tele sono due documenti eccezionali di storia e religiosità popolare — ha affermato Silvio Tomasini, direttore del Museo della basilica di Gandino —. Sono stati voluti da gente che si è tolta il pane di bocca per dare testimonianza di un evento e della propria fede. Chiediamoci: noi cosa lasceremo ai posteri di ciò che oggi viviamo e crediamo?».