Siamo servi. E inutili, per di più. La difficile logica del Vangelo

Foto: “Se aveste fede come un granello di senape…”. Alcuni granelli di senape

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”.  Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: ‘Sràdicati e vai a piantarti nel mare’, ed esso vi obbedirebbe” (Vedi Vangelo di Luca 17, 5-10. Per leggere i testi liturgici di domenica 2 ottobre, ventisettesima del tempo ordinario, clicca qui)

LA FORZA DELLE FEDE

Per vivere tutti i valori dei quali ha parlato finora il vangelo di Luca (nelle ultime domeniche ci ha messo fortemente in guardia contro i pericoli delle ricchezze) si esige un’adesione alla Parola del Signore che deve essere a prova di fuoco. Bisogna avere fede, in altre parole, una fede sempre solida e genuina. Per illustrare questa “verità” Gesù, nel vangelo di oggi, usa la similitudine della senapa. Basterebbe avere una fede grande quanto un granellino di senapa. La senapa ha dei semi piccolissimi: messi nel palmo di una mano, sono poco più che polvere. Se si avesse solo una fede così si potrebbe dire al gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso ci ascolterebbe. Il gelso era noto come pianta che aveva radici molto profonde. D’altra parte, il mare, per gli ebrei (anche se, forse, l’espressione è da intendere “sulla riva del mare”) è luogo inospitale, il luogo dell’acqua salata e dei mostri. L’immagine, nel suo insieme, dice dunque che la fede appare poco esternamente, oppure, meglio, che ne basta poca, purché sia autentica; e quando è così essa ha un dinamismo interno enorme, capace di fare l’impossibile come sradicare un gelso che è difficile da sradicare e farlo prosperare vicino al mare, dove il gelso non può crescere.

“SIAMO SERVI INUTILI”

A questo punto Gesù vuole far capire il ruolo essenziale della fede con una dimostrazione per assurdo e racconta la paraboletta del servo e del padrone. Biosogna ricordare la cultura rigida e tradizionalista della società ai tempi di Gesù. Lo schiavo era alle totali dipendenze del padrone. Allora, è come se Gesù raccontasse: un signore di campagna riceve il suo schiavo alla sera quando rientra dal campo e lo serve come se lo schiavo fosse diventato lui il padrone: lo invita a tavola, gli porta i cibi. Ovviamente, gli ascoltatori di Gesù, molto fermi sulla loro mentalità legata alla gerarchia sociale, si chiedono: ma come è possibile? Si è mai vista una cosa del genere? No, non può essere così, infatti. Succederà invece che lo schiavo, tornando dal lavoro, dovrà fare anche il servizio della mensa, come è normale che faccia, nelle concrete abitudini sociali del tempo. E il servo non può pensare di aver fatto una cosa speciale se compie semplicemente il proprio dovere. Per la verità, il legame di questa nuova idea con quanto viene prima è piuttosto occasionale e va spiegato. Luca, mentre parla di fede, vuole non solo dire che essa può fare l’impossibile (vedi sopra) ma vuole anche criticare l’idea farisaica della prestazione cui Dio è “obbligato” a dare risposta. La fede è, appunto, totale affidamento, lasciarsi andare incontro all’amore di Dio che è Padre. La prestazione personale, diventa, di conseguenza, del tutto secondaria. Non è quella che salva: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato di fare, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare. La parola greca che sta al posto di “inutili” significa “non necessario”. Si potrebbe dire: “dei servi qualunque”. Una volta fatto il proprio dovere l’apostolo non deve approfittarne né per sé né per il proprio interesse personale. È stato segno della grazia, dell’amore gratuito di Dio e quindi deve sempre far volgere gli sguardi alla fonte di ogni grazia e di ogni dono. Egli è solo un servo qualunque.

UNA VERITÀ SEMPLICE: SIAMO FIGLI

Il vangelo di oggi ci invita a guardaci non con i nostri occhi, ma con quelli di Dio. Abbiamo ricevuto tutto da lui. Tutto. Siamo figli. Lo siamo già nel fondo della nostra esperienza umana. Non tutti siamo padri o madri, infatti, ma tutti siamo figli. Per l’uomo ciò che fa essere non è il dare la vita, ma il riceverla. Non dovrebbe sorprenderci allora il sentirci chiamare figli di Dio, gente che ha ricevuto tutto da Dio. Questo però viene a scontarci con una mentalità che tende a rivendicare tutto ai propri meriti e a non riconoscere nulla ai meriti degli altri. Fatichiamo a sentirci figli. Di conseguenza siamo portati a sentirci sempre padroni di noi stessi e del nostro destino, quasi mai figli, ancora meno servi e ancora meno “servi qualunque”.

I VARI SERVIZI NELLA CHIESA

Molti sostengono un servizio nella Chiesa e anche nella vita di tutti i giorni, tutti sono, in qualche modo, servitori: dei famigliari, dei vicini, di tutti coloro che sono nel bisogno. Come vedere queste forme di servizio da un punto di vista cristiano? Sono necessarie due cose, ci suggerisce il vangelo di oggi: una fede sempre più grande e una umiltà totale. Primo: la fede: chi si è affidato al Signore, si vede. Perché è generoso, è disinteressato, non usa quello che fa per gli altri per le sue soddisfazioni personali e per il suo prestigio… Agisce con lo stile del Crocifisso che non è venuto per essere servito, ma per servire. Il cristiano che serve si vede anche da come vive i valori della sua fede: se tutti dicono che ci vuole la guerra, lui ha il coraggio di dire che ci vuole la pace, se tutti dicono che la fedeltà matrimoniale è un optional… Se tutti dicono così lui dice che, proprio come credente, ha i motivi più che sufficienti per dire che bisogna agire diversamente. Secondo: un’umiltà a tutta prova. Non sono io a dare la fede, a salvare, ma il Signore. Siamo dei “servi qualunque”. Faccio riunioni, organizzo, mi do da fare: è andato tutto bene: una marea di gente. Eppure non ho fatto nulla di quello che conta, nulla. Sono soltanto servo. È il signore che fa. Difficile, ma vero.

Teresa di Lisieux, sul letto di morte: Una consorella le dice: “Ahimè! Non avrò nulla da donare al buon Dio, alla mia morte: ho le mani vuote! E ciò mi rattrista molto”. E Teresa risponde: “Quand’anche avessi compiuto tutte le opere di San Paolo, mi giudicherei ancora come un ‘servo inutile’; e questo è proprio ciò che compone la mia gioia, perché non avendo nulla, riceverò tutto dal buon Dio”.