Festa di Cristo re, lo strano re che regna dalla croce

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”

(vedi Vangelo di Luca 23, 35-43. Per leggere i testi liturgici di domenica 20 novembre, trentaquattresima del Tempo Ordinario, solennità di Cristo Re, clicca qui).

Il Re crocifisso

Nel vangelo di oggi c’è un insolito accumulo di titoli regali: Gesù viene chiamato più volte “Cristo”, cioè messia, e “re”. Il brano è quindi particolarmente adatto alla festa di oggi, ultima domenica dell’anno liturgico, festa di Cristo Re. Ma i titoli sono usati dai soldati e dai capi ebrei per prendere in giro Gesù. I capi partono dalla loro idea di un Dio e quindi di un messia potente. Se Gesù è messia deve dimostrarlo con la forza: scenda dalla croce. Anche i soldati usano espressioni simili. Avevano certamente messo in croce molti di questi rivoltosi che si autoproclamavano re: ancora uno… Se sei re, dimostralo, scendi dalla croce. Colui che come ‘re dei Giudei’ aveva promesso la liberazione di tutto il popolo non è capace di liberare se stesso. Che il titolo di “re” fosse il pretesto per prendersi gioco di Gesù era motivato dal fatto che sopra la testa dei condannati doveva essere appesa una scritta che, come stabiliva la legge, enunciava il motivo della condanna. La scritta si chiamava “titulus”, titolo, motivo della condanna. Quella di Gesù diceva “Questi è il re dei Giudei”. Gesù si era proclamato messia, re e per questo era stato condannato a morte.

Il delinquente chiama Gesù per nome

Gesù non è solo, però. Due altri sono condannati alla crocifissione insieme con lui. In Luca questa strana “compagnia” di Gesù ha un significato profondo: fino all’ultimo Gesù condivide la sorte dei peccatori, con i quali ha sempre “fatto compagnia”. Solo che, proprio in questa strana compagnia, avviene l’inatteso. Uno dei malfattori riconosce l’innocenza di Gesù e riconosce anche che Gesù è veramente re, re di un regno molto particolare: è un regno dove si è salvati, liberati dal male. Ma il delinquente può entrare anche lui nel regno perché ha intuito che è possibile un legame personale con Gesù. Invoca infatti Gesù, non con un titolo, ma con il nome: Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Fatto unico in tutti i vangeli e segno sicuro di abbandono e di fiducia…

Dunque la misericordia di Dio che appare in Gesù si manifesta fino all’ultimo. La morte è immediatamente efficace e per di più con un malfattore. Nel momento dell’estrema indigenza Luca presenta il “buon ladrone” come il modello del discepolo salvato.

La risposta di Gesù: oggi sarai con me

La risposta di Gesù è sorprendente. Accoglie la domanda del ladrone, ma non in un indeterminato e lontano futuro, bensì “Oggi”. “Oggi” è una tipica parola di Luca. La salvezza arriva, veramente e “oggi”. Come alla nascita di Gesù (“Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”), oppure durante l’”omelia” nella sinagoga di Nazaret (“Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”), o come per Zaccheo (“Oggi la salvezza è entrata in questa casa”). Anche coloro che vedono la guarigione del paralitico esclamano: “Oggi abbiamo visto cose prodigiose”. Questa è la salvezza: essere con il Signore. Quando si è con lui, oggi, si è nel “paradiso”: “paradiso” è una parola di origine persiana che vuol dire “giardino”. Nella bibbia l’uomo e la donna appena usciti dalle mani di Dio sono collocati nel “giardino”, nel “paradiso”, il paradiso terrestre. Dunque, mentre sta per morire, le felicità definitiva, quella che Adamo ed Eva  godevano nel paradiso terrestre prima del peccato, è promessa immediatamente, “oggi”, al ladrone pentito.

Come lo sguardo dell’innamorato

Il re in croce è grande e potente, soltanto perché ha dato tutto, senza riserve e il suo Regno dura per sempre proprio grazie al totalitarismo senza riserve di quell’amore. Anche noi siamo chiamati a fare come lui: anche quando siamo crocifissi, sofferenti, se lo chiamiamo per nome, siamo dei re, trionfatori, in nome suo e grazie a lui. Ma è difficile. Tutto il vangelo è il racconto di un fraintendimento “logico” e di una comprensione “illogica” (se Gesù è il messia deve salvare… se è Messia deve dimostrarlo: così dicono i capi religiosi, i soldati, il “cattivo ladrone”: tutti; tutti, eccettuato uno).

Il “buon ladrone” è un personaggio strano e, in un certo senso, inquietante. Come avrà fatto a capire che quel condannato come lui è il salvatore? Quali sono stati i segni che lo hanno portato a questa scoperta? Non ci risulta che gli siano apparsi segni particolari. Ha intuito, inaspettatamente, quasi miracolosamente, lui delinquente condannato a morte, morente.

Ma quella intuizioni felice dice qualcosa di quello che noi chiamiamo “fede”. La fede, infatti, è la sensibilità estrema: trova tutto dove sembra non esserci niente. Come lo sguardo di un innamorato. Che cosa dice uno sguardo per un non innamorato, infatti? Nulla. Che cosa dice per l’innamorato? Tutto. La fede è questa strana, inspiegabile sensibilità. Ciò fa capire anche come il fedele, l’innamorato di Gesù, spesso, è solo. Anzi: più è innamorato e più è solo. È il pedaggio da pagare a quella inimitabile compagnia. Il “buon ladrone” è l’unico a capire Gesù e lo capisce dalla croce…