Avvento. Dobbiamo aspettare. Ma come, in un presente così drammatico come il nostro?

Immagine: Arcabas, la natività (particolare)

È incominciato l’avvento. Non sono un gran credente e vedo questi appuntamenti della liturgia più da osservatore esterno che da protagonista. Ma tutta questa enfasi sull’aspettare, sull’attesa mi va venire un dubbio. Non è che l’attesa così intensa del Bambino di Natale ci porta via molte energie per le attese del nostro più immediato futuro, spesso così difficile e così incerto? Eugenio.

Caro Eugenio, l’invito all’attesa che la liturgia ci esorta a vivere in questo tempo di avvento, non è certamente un auspicio a distoglierci dal quotidiano che siamo chiamati ad assumere sempre in tutta la sua bellezza e complessità, nella consapevolezza di essere collaboratori di Dio nella costruzione del suo Regno.

Chi attendere e perché

Da osservatore esterno quale ti definisci, ti sarà difficile comprendere tutta la ricchezza di questo tempo senza lasciarti coinvolgere e farne un’umile esperienza. L’invito che ti rivolgo è di saper accogliere la sfida che la Chiesa, nella sua sapienza, ci dona educandoci a un pensare credente nei diversi ritmi e tempi dell’anno liturgico. Comprendo che sia difficile il linguaggio dell’avvento così apparentemente disincarnato e opposto alla nostra cultura del tutto e subito, alla quale non sono esenti neppure i credenti più impegnati. Ma cosa attendiamo, o meglio perché siamo invitati ad attendere? Qual è l’oggetto di questa attesa così prolungata? Certo, come tu dici attendiamo il Bambino Gesù nella sua nascita, ma non è ancora sufficiente poiché sappiamo che è già venuto. Fermarci a questo evento potrebbe trasformare l’avvento nella preparazione di una festa familiare e un pò commerciale.

Le umili venute di tutti i giorni, come brezza leggera

Siamo chiamati invece a ravvivare il desiderio del Signore, l’attesa della sua venuta che celebriamo storicamente con la sua incarnazione nel Natale, che attendiamo definitivamente, nella parusia, alla fine dei tempi, ma che siamo invitati a riconoscere in quelle venute umili e quotidiane che arrivano silenziosamente, come brezza leggera, e che si rendono visibili in ogni eucarestia. Il credente è l’uomo dell’attesa poiché ha sperimentato la venuta del Signore, ma è sospeso tra il già e il non ancora, in attesa del suo ritorno definitivo. Come una sentinella, dall’alto del colle, alimenta il desiderio e scruta i segni del ritorno del suo Signore. La prima notizia da cui siamo raggiunti in questo tempo è che Dio è venuto, ma continua a venire, e noi presi e affaccendati dalle molteplici preoccupazioni quotidiane e nelle cose di tutti i giorni, potremmo non accorgerci che Egli è qui. Oggi Lui viene, oggi è il tempo della salvezza! Certamente non voglio sottovalutare la propensione a occuparci dei bisogni fondamentali e a impiegare tutte le energie a rendere più umana la vita per tutti, ma invitarti i essere vigilante e consapevoli della salvezza di Dio che continuamente ci viene incontro.

Fatti per una realtà più grande di noi

Mi pare che la liturgia ci esorti alla responsabilità e all’impegno per non dissipare energie in progetti mondani cercando di adattare la realtà alle nostre esigenze, anziché accogliere il misterioso disegno di Dio che si delinea nella storia. Inoltre ci invita ad avere uno sguardo “alto”, proteso verso il fine dell’esistenza, quando Dio sarà tutto in tutti e ricapitolerà ogni cosa in Cristo. Occorre avere un cuore che sa sostare in silenzio, in una dolce attesa per scorgere i segni di un’altra presenza che non fa rumore, ma che vuole ri-significare la vita, ri-orientare i desideri profondi del cuore. L’attesa esige una grande forza interiore e una fede provata, per portare i segni di una incompiutezza che solo la speranza sa vedere realizzati. Occorre avere il coraggio di ritornare a pregare per ascoltare Colui che viene, purificare i nostri desideri e divenire più capaci di Dio, e più capaci per gli uomini. La preghiera diviene un esercizio del desiderio poiché, ogni uomo è stato creato per una realtà grande, per Dio stesso, per essere riempito da Lui. Ma il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà che gli è stata donata. Dio, mediante il desiderio, allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace di accogliere Lui stesso e in Lui ogni cosa creata. Attendere e desiderare sono due movimenti interiori che abitano il tempo di Avvento e che vogliono dilatare gli orizzonti del nostro vivere presente per aprirlo, nella speranza, al futuro che ci attende in Cristo. Questa disposizione del cuore è una forza creativa e inclusiva che porta Dio nel mondo: attraverso di esso si ravviva il sogno di Dio lungo la storia e rifioriscono le sue promesse di bene per quei molti popoli con cui siamo chiamati a condividere la speranza di nuovi e possibili cammini di vita, di processi di pace nei quali le lance saranno mutate in falci, le spade in vomeri e i lupi e i capretti pascoleranno insieme.