Se diamo retta a Nelson Mandela, l’educazione è un’arma, “la più potente che si possa usare per cambiare il mondo”. E se resta vero anche per noi che “non esistono ragazzi cattivi”, come lo è per don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, ci sembra però che si sia creato un pericoloso corto circuito nel mondo della scuola. Sono numerosi negli ultimi mesi gli episodi di aggressioni messe in atto da studenti ai danni di insegnanti colpevoli di averli puniti o di aver attribuito loro un brutto voto: è successo per esempio il 20 marzo scorso a Firenze (pugni a una professoressa che chiedeva di consegnare il cellulare), a febbraio a Santa Maria di Vico, in provincia di Caserta (docente sfregiata con un coltello da un allievo che non voleva essere interrogato). E questi sono solo i casi più eclatanti: l’ultimo è scoppiato ieri a Lucca. Il video, diventato virale sui social in cui uno studente “tiranneggia” l’insegnante imponendogli di dargli 6 anche se non lo merita (“Chi comanda qui? Inginocchiati”) è stato trasmesso da tutti i telegiornali. Ma queste aggressioni non vengono attuate solo dai ragazzi: nei primi giorni di aprile a Torino e a Palermo due insegnanti sono stati picchiati da genitori di allievi puniti (a loro giudizio) ingiustamente. Segnali inquietanti di un’emergenza educativa di ampio raggio, che nei social network trova potenti amplificatori. Segno, soprattutto, di una progressiva erosione del rapporto di fiducia tra insegnanti, studenti e famiglie che dovrebbe invece garantire l’efficacia dell’educazione scolastica. Questi fatti di cronaca sono solo la punta dell’iceberg di una situazione quotidiana molto tesa, in cui mantenere la disciplina (per gli insegnanti) e seguire e giudicare con equità il percorso dei figli (per i genitori) diventa sempre più difficile.
Esasperando un po’ i toni, il filosofo Umberto Galimberti nei giorni scorsi ha detto che bisognerebbe “espellere” i genitori dalle scuole, perché “a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge”. Non è vero ovviamente, anzi, a volte proprio l’attenzione e l’impegno profuso per seguire i progressi dei figli e controllarli portano a commettere errori di valutazione. Il punto nodale è comunque la disciplina: in famiglia i rapporti sono molto informali, e tra genitori e figli non c’è il clima di obbedienza e di timore che si poteva trovare anche solo trent’anni fa. Le relazioni si sono “orizzontalizzate” anche a scuola, mettendo in crisi fin dalle fondamenta il principio del rispetto delle regole. Alle vecchie certezze, ormai irrimediabilmente incrinate, non si sono sostituiti nuovi percorsi, nuove strategie che portino alla conquista degli stessi obiettivi: l’acquisizione e la condivisione di un sapere che si trasmette da una generazione all’altra ed è fatto di empatia, di reciproca comprensione, di doveri civici, di valori da salvaguardare anche a prezzo di sacrifici personali. L’indulgenza a volte è frutto di una certa superficialità: lasciamo perdere per mancanza di tempo, in una società con ritmi frenetici, in cui fermarsi a pensare, incontrarsi, parlarsi, anche all’interno delle famiglie, sembra diventato un lusso. Siamo d’accordo con Galimberti quando sostiene che c’è bisogno di “fascino” per educare, ma anche di autorevolezza. La vita è un percorso faticoso, richiede rigore, impegno e creatività. E’ a questo che dovremmo certamente preparare i nostri figli, ma anche noi stessi, perché in fondo la scuola è solo l’inizio.