San Giovanni XXIII, un diplomatico anomalo: «Tempi nuovi domandano uno stile nuovo»

Monsignor Roncalli fu un diplomatico anomalo. Non tardò a rivelare la sua originalità nel periodo di rappresentante della Santa Sede presso il Governo Bulgaro (1925-1935), in una situazione oltremodo complessa in cui era stato mandato letteralmente allo sbaraglio. Egli doveva riorganizzare la piccola comunità cattolica, distinta a sua volta tra i fedeli di rito latino e di rito ortodosso, e tradurre in atto l’ambiziosa politica vaticana. Essa obbediva alla logica di favorire il ritorno degli “scismatici orientali” in seno alla Chiesa Romana. Il rinnegamento degli errori del passato e il semplice ritorno nella Chiesa Cattolica erano le uniche possibilità rimaste alle chiese ortodosse. L’illusione che ci fossero le condizioni favorevoli per questo ritorno pesò gravemente sulle spalle di Roncalli, il quale non tardò a rendersi conto della loro infondatezza per il profondo legame esistente tra l’ortodossia e l’identità della nazione bulgara. Questo apparve chiaramente in occasione del matrimonio tra Boris di Bulgaria e Giovanna di Savoia, costretta a sottoporsi ad una cerimonia ortodossa, dopo quella cattolica celebrata precedentemente ad Assisi. Questa sanzione da parte della monarchia smentiva le aspettative di riportare al cattolicesimo la nazione bulgara e fece di Roncalli un facile capro espiatorio.  Questi progetti si accompagnavano allo scarso riconoscimento del carattere autenticamente cristiano delle Chiese ortodosse. Come diceva con espressione colorita monsignor Roncalli, i cattolici “si tenevano su”, cioè non consideravano gli orientali veri credenti e lo manifestavano anche esteriormente, come ricordava il grande teologo ortodosso Olivier Clément: «A Costantinopoli quando facevo i miei studi di teologia, un prete cattolico girava la testa quando incrociava un prete ortodosso. Girava la testa e lo ignorava».

Durante il suo mandato diplomatico, Roncalli non si discosta dalle direttive della Santa Sede, ma mostra un vero rispetto verso l’ortodossia, di cui vuol cogliere le peculiarità non tardando a ricuperare il carattere cristiano di quelle chiese e a riconoscerne l’autentica fede. In un rapporto a Roma, dopo quasi vent’anni di esperienza del mondo orientale, Roncalli delinea quel che è diventato il suo modello ecumenico: «Tempi nuovi domandano uno stile nuovo: bisogna lasciar da parte ciò che divide: conviene invece suscitare un’utile emulazione così nella illustrazione della verità che nelle opere di carità». Si tratta dell’esplicitazione di quello che è ormai lo stile di Roncalli: lasciare da parte quello che divide, far crescere la carità nei rapporti attraverso l’amabilità e l’amicizia, insomma lavorare nel lungo periodo nel quale alcune idee, favorite dal clima di cordialità, possono dare i loro frutti. A titolo di esempio riporto tre fatti.

Il primo riguarda il resoconto di un colloquio del 1942 con il metropolita bulgaro Stefan, aperto pure lui all’ecumenismo, non senza incontrare vivaci opposizioni all’interno della Chiesa ortodossa: «La conversazione fu animata e, penso,  non inutile ai fini della carità e della pace. Coll’evolversi di sempre nuove situazioni parmi un dovere approfittare di tutti i contatti con i nostri fratelli ortodossi anche dell’alto clero da cui può sprigionare scintilla di verità e carità. Per cui il tenersi su, che scorgo ancora come abitudine di prelati cattolici in rapporto con gli ortodossi, mi pare cosa superata. Bisogna saper andare con loro con garbo, con rispetto, con affezione» (Giovanni XXIII, La mia vita in Oriente, Bologna 2008, p. 251).

Il secondo episodio illustra la deliberata rinuncia al proselitismo da parte del delegato pontificio Roncalli.  In una lettera ad un giovane ortodosso che voleva studiare teologia nella Chiesa cattolica a Roma e conseguentemente entrare a farne parte scriveva invitandolo: «ad approfittare degli studi e della educazione che ella riceve nel Seminario di Sofia». Il caso si ripetè altre volte e la motivazione di fondo aiuta a cogliere l’ecumenismo di Roncalli: «I cattolici e gli ortodossi non sono nemici, ma fratelli. Hanno la stessa fede, partecipano ai medesimi sacramenti, soprattutto alla medesima eucarestia. Ci separano alcuni malintesi intorno alla costituzione divina della Chiesa di Gesù Cristo. Coloro che furono causa di questi malintesi sono morti da secoli. Lasciamo le antiche controversie e, ciascuno nel suo campo, lavoriamo a rendere buoni i nostri fratelli …» (F. Della Salda, Obbedienza e pace. Il vescovo A. G. Roncalli tra Sofia e Roma, Genova 1988, p. 49).

Il terzo fu l’invio di un messaggio nel 1927 al sinodo della Chiesa Bulgara, nel quale augurava «di buon cuore ai loro lavori la grazia dello Spirito Santo che li renda profittevoli all’affermazione di giorno in giorno più profonda del Regno di N.S.Gesù Cristo, alla santificazione delle anime, al bene di questo caro paese». Roncalli aveva concordato questo passo con il metropolita Stepan, che lesse la lettera ai vescovi riuniti. Il gesto suscitò grande sorpresa ed imbarazzo in Bulgaria. A Roma non fu gradito; il gesto era trovato dalla Congregazione per gli Orientali “disdicevole”. Si ricordava che per un simile passo era necessario chiedere prima il permesso della Santa Sede. Lo stesso Pio XI era rimasto perplesso del gesto di Roncalli, anche se esprimeva affetto per un prelato che aveva avuto modo di stimare fin da quando era segretario del vescovo Radini ( A. Riccardi, L’uomo dell’incontro, San Paolo 2014, pp. 50-51).