San Giovanni XXIII e la grande impresa del Concilio Vaticano II. Alle radici di una riforma

Il Concilio Vaticano II presenta due caratteristiche che ne fanno un caso unico dell’intera storia conciliare della Chiesa: l’aver avuto origine dalla decisione di una singola persona e l’ispirazione pastorale.
Il Vaticano II non è stato imposto da eventi di eccezionale gravità, come conflitti dottrinali od urgenza improrogabile di riforme, come nel passato. Tutto è nato dal cuore e dalla mente di un singolo, Angelo Giuseppe Roncalli, diventato papa col nome di Giovanni XXIII il 28 ottobre 1958, il quale ha poi saputo raccogliere intorno a sé un consenso crescente sino a far diventare il suo Concilio espressione della comunità ecclesiale e la sua voce più autorevole nel corso del XX secolo.
I motivi dell’impegnativa decisione sono presenti nella mente del Papa fin dal momento dell’annuncio del 25 gennaio 1959 e vengono progressivamente chiariti fino al discorso di apertura dell’11 ottobre 1962, Gaudet Mater Ecclesia. Si possono individuare nella consapevolezza che la particolare congiuntura storica del Novecento chiama la Chiesa ad assumere uno stile nuovo di annuncio e di testimonianza del Vangelo. I profondi cambiamenti culturali e sociali della Modernità richiedono che il contenuto evangelico venga espresso in modo più rispondente ai bisogni ed alla mentalità dell’uomo contemporaneo. Questo sforzo va compiuto senza che la ricchezza del messaggio evangelico venga mortificata, al contrario essa deve apparire in tutta la sua perenne e salutare novità. Non casualmente Giovanni XXIII parla di Magistero pastorale, che non è meno impegnativo e necessario di quello definitorio e dogmatico, più ricorrente nella tradizione. Il Magistero pastorale va però accompagnato da un atteggiamento improntato alla comprensione nei confronti del mondo moderno. Ciò significa privilegiare la “medicina della misericordia piuttosto che quella della severità” e scegliere la strada della convinzione mostrando la validità della dottrina, piuttosto che quella della severa ed inflessibile condanna.
Questo comporta l’abbandono del pessimismo nei confronti della Modernità, che frequentemente era risuonato nei documenti della Chiesa degli ultimi due secoli. Le espressioni usate esprimevano forme di risentimento e di sfiducia verso i contemporanei con ricadute non sempre positive sulla missione della Chiesa. Giovanni XXIII vuole superare tali condizionamenti per promuovere la linea del rispetto reciproco, della fiducia e del dialogo. Alla radice di questo orientamento non vi sono una particolare competenza teologica, del resto mai pretesa da Giovanni XXIII, bensì una vasta conoscenza di persone e di situazioni e una profonda esperienza spirituale. Il Papa è convinto che un’autentica esperienza di fede è
in grado di trovare sempre il linguaggio e le forme di vita nuove che la rendono comunicabile ed affascinante per qualsiasi interlocutore. Infatti l’esperienza intima e gioiosa della verità permette di intuire che la sua comunicabilità è universale e quindi attesa da ogni uomo, più o meno consapevolmente. Le intuizioni di papa Giovanni non sono dunque banali, ma componenti della sua esperienza di credente, che gli consentono di porre interrogativi e di aprire prospettive inedite. Avverte perciò l’urgenza di chiamare a raccolta l’intera Chiesa per una riflessione collettiva in ordine a scelte di fondo che coinvolgono il suo stesso modo di essere e di agire. Nasce da ciò il progetto di un concilio nuovo, che non poteva essere il semplice completamento del Vaticano I, il concilio di Pio IX, che era stato interrotto per l’occupazione di Roma nel 1870. Coerentemente al suo progetto, Giovanni XXIII nel luglio del 1959, a sei mesi di distanza dall’annuncio, decide di chiamare il suo concilio con il nome di Vaticano II. I tre anni e mezzo che vanno dal primo annuncio all’apertura del Concilio segnalano il progressivo associarsi di vescovi e uomini di Chiesa intorno al programma giovanneo. Con la votazione del 20 novembre del 1962, con cui viene respinto lo schema sulla Rivelazione, il De fontibus, papa Giovanni può contare finalmente su una forte maggioranza conciliare per mezzo della quale può iniziare l’elaborazione del progetto riformatore annunciato nel discorso di apertura. Le principali tappe di questo crescente coagularsi della maggioranza dell’episcopato iniziano con l’adesione del Segretario di Stato card. Domenico Tardini, espressa pochi giorni prima dell’annuncio del 25 gennaio 1959. C’è poi l’invito ai vescovi di tutto il mondo, perché esprimano liberamente con i loro voti, le loro proposte, i temi da trattare al Concilio. In questo modo essi sono chiamati ad un ruolo di protagonisti per decidere il futuro della Chiesa. Viene predisposta una complessa struttura preparatoria, incaricata di scrivere i testi per il dibattito conciliare. Essa viene però egemonizzata dalle correnti teologiche conservatrici, che non tengono conto delle sollecitazioni del Papa, ma si limitano a ripetere le tesi tradizionali, usando non di rado toni polemici e duri. Giovanni XXIII prende alcune decisioni, che consentono di rovesciare la situazione e di dare vita a una maggioranza riformatrice. Enumeriamo brevemente queste tappe.

1. Fin dal marzo del 1960 accoglie la richiesta del card. Agostino Bea di istituire il Segretariato per l’unione dei cristiani, con il compito di dialogare con le Chiese separate. Questo nuovo organismo nel corso del Concilio eserciterà una funzione fondamentale per l’elaborazione di testi teologici rinnovati in grado di attenuare i contrasti teologici con le Chiese separate. Sarà inoltre il promotore della Dignitatis humanae sulla libertà religiosa e delle dichiarazioni che condannano i pregiudizi cattolici contro l’ebraismo.

2. Per espressa volontà di Giovanni XXIII, la composizione della Commissione centrale preparatoria, che aveva l’incarico di esaminare i testi predisposti dalle Commissioni preparatorie prima di essere sottoposti ai padri conciliari, è realmente rappresentativa dell’episcopato mondiale. In essa i vescovi più aperti non tardano a rendersi conto del carattere inadeguato del lavoro sino allora fatto. Comunicano con viva preoccupazione le loro impressioni al Santo Padre, il quale incarica il card. Léon Joseph Suenens di elaborare un piano alternativo. Dopo la bocciatura del De fontibus, questo piano diventa il punto di riferimento per la prosecuzione del lavoro conciliare.

3. Per assicurare al Concilio una reale funzione deliberante, Giovanni XXIII esige che i documenti già elaborati siano inviati ai vescovi due mesi prima dell’inizio dei lavori. Alcune conferenze episcopali li esaminano a fondo e, trovandoli inadeguati, predispongono documenti alternativi che portano a Roma in occasione dell’apertura del Concilio e che, opportunamente diffusi e illustrati, convincono molti vescovi ad intraprendere la strada del rinnovamento teologico e pastorale.

4. Dopo la bocciatura del De fontibus, Giovanni XXIII istituisce una Commissione Centrale di coordinamento con il compito di scegliere i testi da discutere, di provvedere alla loro correzione o sostituzione secondo i suggerimenti del piano del card. Suenens, che prevedono un primo
gruppo di documenti per la definizione della Chiesa ad intra, cioè nella sua natura e vita interna, e della Chiesa ad extra, cioè nei suoi rapporti con il mondo moderno. Si inaugura la fase della seconda preparazione, dopo il sostanziale fallimento della prima. Questa Commissione svolge
positivamente il suo lavoro e decide in pratica dei buoni risultati del lavoro conciliare.

5. Con la lettera Mirabilis ille del 6 gennaio 1963, Giovanni XXIII vuole che il lavoro della Commissione Centrale di coordinamento non avvenga a porte chiuse, ma con la collaborazione dell’episcopato mondiale, a cui devono essere presentati i testi elaborati, perché possano fare le osservazioni opportune e ritoccarli ulteriormente prima della presentazione nell’Aula conciliare, in occasione della seconda sessione prevista per l’8 di settembre del 1963. In questo modo si attua un processo di riflessione corale che rafforza lo spirito conciliare. A Giovanni XXIII spetta il merito non solo della convocazione del Concilio, ma di averlo guidato con saggezza e lungimiranza verso quelle finalità di rinnovamento ecclesiale da lui indicate. A partire dal giorno dell’apertura, 11 ottobre 1962, sono stati necessari una quarantina di giorni perché i padri conciliari si rendessero pienamente conto del compito che erano chiamati a svolgere. Papa Giovanni ha favorito questa evoluzione ed ha predisposto i mezzi necessari perché i lavori conciliari proseguissero in maniera spedita e fruttuosa. A lui va riconosciuto il merito di aver approntato una struttura funzionante a pieno regime, pronta per essere consegnata al successore Paolo VI, che si è assunto il non meno gravoso impegno di condurla
a buon fine.