Gad Lerner a Molte fedi: «Non ci indigniamo più per le diseguaglianze e lasciamo da parte i più fragili»

L’inevitabile provocazione della disuguaglianza: Gad Lerner inaugura il ciclo di incontri sull’economia di Molte Fedi. Ieri sera l’Aula Magna (ex chiesa di Sant’Agostino) dell’Università degli Studi di Bergamo, ha ospitato il primo dei tre incontri della sezione “Economia” della rassegna di Molte Fedi Sotto lo Stesso Cielo 2018. E, primo degli ospiti protagonisti di questo ciclo è stato Gad Lerner.

Lerner ha saputo offrire una “fotografia dai contorni nitidi”, citando le parole di Daniele Rocchetti, presidente delle ACLI di Bergamo, di un mondo frammentato e diseguale, quale quello creatosi a seguito della crisi economica del 2008, in cui è doveroso e necessario, come ha continuato Rocchetti, “discernere e decifrare il tempo per comprendere la grammatica dell’umano e prendere una posizione”. E la posizione presa da Lerner, così come da Molte Fedi, è quella di restare umani praticando la solidarietà, è quella di essere persone ancora desiderose di porsi domande per evitare di pagare “il prezzo del silenzio: la dura moneta delle umane sofferenze” (Zygmunt Bauman, ndt) e capaci di saper convivere con la cultura dello scarto, senza aborrirla, come questo mondo sempre più diseguale vorrebbe.

Centro della riflessione è stata, appunto, la disuguaglianza, un tema tanto, troppo quotidiano, che, in parte, ha smesso di indignare e che, in parte, invece, viene, di fatto, marginalizzato da una società che ostracizza i più fragili e identifica proprio nel loro trovarsi in questa condizione una minaccia e un presagio nefasto di “perdita della certezza, di quello che potrebbe essermi tolto”.

E Lerner si interroga e interroga proprio sull’inevitabilità della disuguaglianza derivante da questa narrazione che prevede la chiusura di un territorio, di un mercato, rivolto prima agli italiani, in questo caso specifico, se il problema è effettivamente che un numero di lavoratori maggiore rispetto al capitale sia la causa di un abbassamento del costo del lavoro dovuto, quindi, all’inclusione nel mercato del lavoro proprio di quelli che stanno ai margini.

E risponde a questa domanda attraverso immagini e parole tratte da reportage realizzati in Italia e nel mondo in collaborazione con Paola Nessi, film maker della Rai.

Risponde con “il muro dei muri, frontiera simbolo di tutte le frontiere del mondo, quella più brutale, quella tra ricchi e poveri”, il muro che Trump vuole estendere per separare il Messico dagli USA. Il muro che oggi divide due città, che formano un unico agglomerato urbano, El Paso e Ciudad Juarez, il muro che quotidianamente centinaia di migliaia di messicani sono costretti ad attraversare per essere sfruttati nelle maquilas (stabilimenti di assemblaggio di semilavorati, ndr). Il muro della disuguaglianza, che stabilisce il gradiente fra un cittadino messicano che lavora sei giorni la settimana, nove ore al giorno, con due pause da venti minuti, e un cittadino statunitense, che guadagnerebbe lo stesso di un messicano, ma in un solo giorno.

Risponde con un caso italiano, di una nota impresa di cantieri navali, oggetto di decentralizzazione al contrario, in cui per ogni italiano lavorano cinque stranieri ed è proprio la nazionalità a sancire la disparità di trattamento, e salario, per cui per ogni italiano guadagnano tre stranieri. Una disuguaglianza in cui serpeggia il pericoloso malcontento di chi “guarda in cagnesco gli stranieri disposti a vendersi”, responsabili inconsapevoli di un furto di lavoro nei confronti degli italiani.

Risponde con l’isola senegalese di Goree, “Auschwitz africana”, sulla quale, a partire dai contatti fra l’Europa e il continente nero, si è ritenuto “lecito che gli uomini fossero schiavi”, venduti e comprati come merce di scambio, costretti ad un’emigrazione forzata per soddisfare i bisogni dei continenti bianchi. Eppure, oggi che questa emigrazione è volontaria e che rappresenta, attraverso le rimesse, il 10% del prodotto interno lordo, questa ha il volto nero non di chi anela ad un futuro migliore, ma del nemico al quale anteporre la salvaguardia di un mercato del lavoro nazionalista e miope.

Risponde, ancora, con un caso piacentino, ammonendo rispetto al rischio di un islamizzazione radicale della lotta di classe, sempre più netto se non si sarà capaci includere e di valorizzare mondi marginali e assolutamente reali, “la nuova classe proletaria che esiste e che tante lingue che parla” citando Soumahoro e la sua battaglia per l’esercito di nuovi sfruttati.

Si augura, però, che il mondo del lavoro sia capace di agire sempre di più con la solidale umanità di Carlo Tamini, che non rigetti l’inevitabile provocazione della disuguaglianza, che non la sfrutti e allo stesso tempo la rinneghi, che non corra il rischio di riabituarsi ad un possibile dello schiavismo, ma piuttosto che si curi della marginalità e ne faccia occasione di collettività.

Nella foto Gad Lerner con Lucio Cassia all’incontro di Molte fedi sotto lo stesso cielo.