Padre Solalinde a Molte fedi: «I migranti testimoni di fede, cambiano la vita di chi li incontra»

È stata una chiesa di periferia, quella del Patronato San Vincenzo ad accogliere ieri sera padre Alejandro Solalinde, secondo ospite della rassegna “Dire Dio nelle periferie” di Molte Fedi Sotto Lo Stesso Cielo. Solalinde, sacerdote messicano impegnato nella lotta al narcotraffico, su cui pende una taglia di 11 milioni di dollari, e candidato al Premio Nobel per la Pace nel 2017, ha regalato una testimonianza della sua vita a servizio degli ultimi.

La riflessione è iniziata, paradossalmente, dalla conclusione del suo ultimo libro “Cos’è il regno di Dio? Una vita radicalmente” (edito da Emi, ndr), conclusione che è un invito valido in ogni luogo e in ogni tempo al farsi prossimo degli ultimi, di chi vive le periferie del mondo. Il sacerdote innalza i migranti, coloro per i quali si è messo a servizio dal 2007 attraverso il centro “Hermanos en camino”, coloro che per lui sono “segno dei tempi, vittime del neoliberismo selvaggio, testimoni del disfacimento, pionieri di futuro, capaci di rischiare il tutto per tutto per una vita migliore per se stessi e per loro famiglie, luce e salvezza”.

Solalinde descrive in maniera spietatamente realista una società globale separata da muri e da mari in cui coloro che possiedono il benessere si illudono di vivere una vita che è in realtà “paralizzata dentro un sistema disumanizzante”. La chiusura all’altro, la falsa convinzione che l’altro sia la minaccia da cui dipenda il venir meno del benessere, la “gara cieca di relazioni avvelenate” sono il fardello da cui l’incontro e l’accoglienza degli ultimi salvano per restare umani.

Il sacerdote riconosce i migranti come testimoni autentici di fede, di totale fiducia che questi hanno in Dio e che permette loro di superare ostacoli, che prescinde dalla religione e trascende le avversità, e proprio in questo i migranti “mi hanno fatto percepire la vicinanza di Dio, perché i migranti sono l’epifania di Dio”. Per padre Solalinde è tempo per il mondo di imparare a conoscere questi giovani portatori di futuro che saranno i nuovi giovani del mondo, capaci di trasformare la vita di quanti incontrano. La sua testimonianza prosegue nel raccontare storie di persone che pensavano la loro vita non avesse più senso e  a cui l’incontro con l’altro e il prendersene cura ha stravolto la vita, come quella di uomo statunitense, desideroso di morire a causa della disabilità, al quale accogliere una famiglia povera nella propria casa ha ridato la voglia di vivere, o quella di una signora italiana, destinata ad una vecchiaia solitaria, prima dell’incontro con un giovane afghano e del loro prendersi cura a vicenda. Prendersi cura è un seme che porta frutto, quello di una cura di chi ha cura da parte di coloro che per primi l’hanno ricevuta.

È una testimonianza appassionata e realista quella di padre Alejandro, da cui trapela anche la consapevolezza di una vita in prima fila nella lotta per i diritti umani, che ha determinato il vivere sotto scorta, l’essere stato vittima di attentati, la consapevolezza che dal 1° dicembre, quando il Messico vedrà il cambio di governo, la sua vita sarà maggiormente in pericolo perché il governo attuale, non più al centro dei riflettori, ma con il suo ruolo centrale nel narcotraffico, potrà intensificare la sua lotta contro chi da sempre ne denuncia la corruzione. È una testimonianza di speranza e fiducia, di un sacerdote che ha visto il cambiamento della società messicana, fortemente cattolica e profondamente distrutta dal narcotraffico, una società che ha preso consapevolezza dell’impatto che ha sull’ordine delle cose, che ha alzato la testa e la voce, testimone della dilagante corruzione e violazione dei diritti sul territorio messicano. Vivendo accanto agli ultimi nelle periferie Solalinde ha fatto di questi la sua forza, quella di un uomo educato alla e nella libertà con il desiderio di giustizia per il proprio Paese, in cui la corruzione pervade tanto il mondo politico quanto quello religioso e che conclude “sono un sacerdote degli e tra gli ultimi, delle periferie e della gente che, proprio perché credente, collabora alla creazione di un Messico migliore, libero e giusto, in cui ogni persona, sappia farsi portatrice di fede e di amore, quello che più di ogni altra cosa manca alla società contemporanea”.