Il giorno dei morti in monastero

Arriva il giorno dei morti. Molti amici miei che non frequentano la chiesa vanno però al cimitero. Voi, immagino, al cimitero non ci andate. Che cosa fate, come pregate voi nella vostra comunità il 2 novembre? Roberta

Cara Roberta, la commemorazione dei defunti che andremo a celebrare, è sempre un appuntamento annuale al quale nessuno, credente o ateo, si sottrae. Il legame con i cari, familiari, amici e conoscenti, continua attraverso gesti simbolici di affetto che vanno dalla visita al cimitero, al deporre dei fiori sulle tombe, a riattivare lumini o accendere ceri… segni che narrano di legami, soffusi da una sottile malinconia, segnati da un distacco fisico, ma presenti nella memoria del cuore.

Nel monastero, la liturgia anzitutto

In monastero il ritmo che caratterizza questo giorno è quello della liturgia: nella semplicità e nella ricchezza della celebrazione della liturgia delle ore e dell’Eucarestia entriamo nel mistero della Pasqua, del passaggio da morte a vita che il Signore Gesù ha compiuto per noi, perché anche noi lo percorriamo con lui. Nella liturgia siamo invitate ad aprire il cuore alla speranza, perché la nostra vita non rimarrà prigioniera della morte, ma si aprirà alla luce della vita eterna, che il Signore ci ha conquistato con la sua morte e resurrezione.

In questa lode che abbraccia il tempo e lo spazio, portiamo nella preghiera i volti di tutti i viventi in Cristo che ci hanno preceduto: volti conosciuti e a noi cari, o sconosciuti e anonimi, che attendono di entrare nella “piazza d’oro” per contemplare il volto del Risorto. Camminiamo sulla strada che Gesù ha percorso e ci ha aperto la porta con la sua croce, dove contempleremo Dio e lo vedremo faccia a faccia.

Siamo dentro una memoria del passato, dei nostri cari defunti, e del futuro, di ciò che ancora ci attende. In questo movimento sperimentiamo tutta la ricchezza e bellezza della comunione dei santi, di quella schiera innumerevole di fratelli e sorelle, vivi e defunti, che attendono la piena redenzione e che la liturgia ci fa sperimentare in modo reale ma misterioso.

Con la morte “vado a scoprire la Tenerezza”

La commemorazione dei fratelli defunti è anche un’ occasione preziosa per pensare alla nostra morte, a quel passaggio nella vita che non finisce: siamo nati e non moriremo mai!

In questo tempo in cui la morte viene esorcizzata, negata o nascosta e non nominata, è urgente ricollocarsi, come credenti, verso un orizzonte di eternità, verso il fine al quale siamo chiamati, la vita eterna. Non per negare la realtà storica, ma per imparare a guardarla dal fine. Il nostro Dio, in Gesù, ci ha rivelato il suo volto di misericordia e di amore, di un Padre che attende il nostro ritorno per donarci la vita che non ha fine. Se l’atto della morte rimane per tutti un mistero unito al timore di quel passaggio che esula dal nostro controllo e dal nostro possesso della vita, la fede ci avvolge con la speranza di essere accolti dalle braccia aperte e sicure del nostro Padre che è nei cieli.

Impariamo a fare del nostro pellegrinaggio terreno una scuola di affidamento e di consegna umile e semplice, al Dio della vita che mai ci vuole abbandonare nelle nostre piccole o grandi morte, avvolgendoci di sentimenti di fiducia e speranza, come un autore ci descrive: “I sentimenti che vorrei avere all’ora della mia morte (e che ho attualmente), si riassumono in questo. Pensare che vado a scoprire la Tenerezza. È impossibile che Dio mi deluda; già il semplice ipotizzarlo è enorme! Andrò da lui e gli dirò: “Non mi vanto di nulla, se non di aver creduto nella tua bontà”.