Enrico Letta: «Le prossime elezioni? È in gioco l’esistenza stessa dell’Europa»

La posta in gioco alle prossime elezioni? È l’esistenza stessa dell’Europa, facile preda delle spinte sovraniste alla disgregazione. Non usa mezzi termini Enrico Letta, in attesa dell’incontro di venerdì 1° febbraio, alle 18.30 al Centro Congressi Giovanni XXIII per il Bergamo Festival, a dialogo con Nando Pagnoncelli, presidente IPSOS Italia e membro del comitato scientifico del Festival. Presenterà il suo nuovo libro “Ho imparato. In viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale”, una riflessione su quanto appreso attraverso l’esperienza politica e la docenza universitaria che gli permettono oggi di analizzare in maniera lungimirante e precisa gli scenari futuri della politica italiana e della vicenda europea. Nell’intervista che ci ha concesso ricorda come tanto l’esperienza politica quanto la carriera universitaria gli abbiano permesso di imparare l’importanza di un’educazione dei giovani capace di riconoscere come valori fondamentali e fondanti di una società quella fame di conoscenza e quel rispetto per la dignità umana attraverso cui costruire una collettività giusta, responsabile e sostenibile.

Si avvicinano le elezioni europee, quali sono, secondo Lei, i temi più importanti in gioco in questo momento per l’Europa, quali i possibili scenari che si delineano e i suoi auspici?
«È in gioco l’esistenza dell’Europa unita, inutile negarlo. Se vincono i sovranisti la spinta alla disgregazione può essere irreversibile. Col “prima gli italiani”, “prima i tedeschi”, “prima gli ungheresi”, perde l’Europa tutta e certo non vincono i Paesi più esposti come il nostro. Ovviamente non è questo il mio auspicio. Quanto ai temi prioritari, per me sono tre. La prima priorità: il nesso tra giustizia sociale e protezione. La seconda: la sostenibilità ambientale, in linea con l’impianto magistrale dell’Enciclica Laudato Si’, di Papa Francesco. La terza: la condivisione – piena, senza più ipocriti alibi – della responsabilità nella gestione della questione dei migranti. Io voglio e mi batto per un’Europa capace di tutelare la vita e la dignità degli esseri umani e al contempo di dare risposte ai propri cittadini impauriti».

A partire dal titolo del Suo libro, “Ho imparato” cosa può dire di aver imparato dalla sua esperienza in politica? E dall’esperienza di docente universitario?
«Prima di tutto ho imparato che si cade e ci si rialza, ognuno come può. E che di fronte agli imprevisti della vita occorre andare avanti e poi magari ritrovarsi a pensare che quelle stesse cesure si sono trasformate in una straordinaria occasione di crescita personale e arricchimento umano e culturale. A me è successo questo negli ultimi anni, forse i migliori della mia vita, i più carichi di insegnamenti».

Il tema dell’istruzione è molto controverso attualmente in Italia, a tal punto da mettere in discussione l’importanza dell’istruzione stessa. Secondo lei, cosa sarebbe opportuno imparasse l’Italia? E i giovani, cosa dovrebbero o potrebbero imparare?
«L’Italia di questi anni ha dimenticato cosa l’ha resa grande in passato: la conoscenza, la fame di sapere, la scuola come priorità nazionale. È una amnesia colpevole che ha colpito tutti o quasi. Oggi abbiamo il dovere di risarcire le nuove generazioni. Come? Dando dignità e risorse all’educazione, agli insegnanti e ai luoghi del sapere. È da un lato un interesse nazionale per tornare a essere un Paese vivo e competitivo e dall’altro la prima, più urgente, misura di giustizia sociale».

Una domanda, invece, inerente la sua scuola di politica. La sua idea di scuola è quella in cui ai giovani venga insegnato qualcosa, e, in questo caso, che cosa, o quella in cui i giovani vengano educati a qualcosa, e, sempre, a che cosa?
«Il primo messaggio: la politica non è un mestiere, né una professione a vita. È impegno e partecipazione, non un canale di sbocco professionale, cui il più delle volte si accede per cooptazione. Su questo sono molto chiaro: solo chi è autonomo è libero davvero. Libero di dire di no, ad esempio, specie quando sono in gioco valori non negoziabili. La lezione più importante è la centralità dell’individuo e dell’essere umano, la tutela delle dignità delle persone. È una prospettiva che spesso si tende a smarrire, ma resta l’orizzonte verso cui tendere, sempre.  Mi viene in mente un insegnamento splendido di Don Primo Mazzolari: “La disgrazia della lotta politica in Italia è legata alla dimenticanza dell’uomo, per cui abbiamo cittadini che sono quel che volete, vale a dire con denominazioni politiche svariatissime, ma con nessuna sostanza umana. Prima di essere ammessi a un partito ci vorrebbe la promozione a uomo”. Andrebbe inscritta nello statuto di ogni partito o movimento politico».

Rispetto alla scelta di incontrare un pubblico, giovane o meno, attraverso l’utilizzo delle storie di Instagram, perché ha scelto di utilizzare questo canale di comunicazione? E, oggi giorno, quali sono i mezzi per una comunicazione efficace?
«Portare le idee di “Ho imparato” oltre i canali tradizionali di diffusione editoriale. Questo non è solo un libro. Vuole essere un modo per condividerne ed eventualmente integrarne o modificarne i contenuti attraverso il confronto con i cittadini. In particolare con i più giovani. Instagram si presta benissimo all’intento: lo scambio avviene tramite video, immagini, commenti. Quanto alla narrazione, mi preme emerga l’idea che, oltre lo spaesamento che tutti avvertiamo, ci siano spazi e modi per trasformare il vento del cambiamento in energia positiva. L’esatto opposto di chi, di fronte allo stesso cambiamento, specula sulle paure di una società spaventata e incattivita».

In un’intervista recente, cioè durante l’incontro con Fabio Fazio, ha espresso l’idea che serva un’alternativa politica che parta dai giovani. Può spiegare come si immagina questa alternativa?
«Che parta dai giovani e che guardi avanti, certo, ma che non sia dispregiativa rispetto a chi giovane non è. La retorica dei giovani contro i vecchi non funziona, è inutilmente divisiva. La rottamazione, esattamente come la ruspa di Salvini o il vaffa di Grillo, è una formula ispirata per definizione alla distruzione dell’altro. Io sono convinto che all’Italia occorra esattamente l’inverso. Dobbiamo essere durissimi, radicali, nell’affermare i nostri convincimenti ma senza mai lasciarci tentare dalla scorciatoia della delegittimazione, dalla volgarità di parola e di pensiero imperante in questi anni».