I dieci anni dell’episcopato Beschi sono stati ampiamente ricordati, con una intervista sull’Eco di Bergamo e con diversi momenti nei quali si sono fatti gli esercizi doverosi della preghiera e della memoria. Soprattutto l’intervista del Direttore dell’Eco di Bergamo Alberto Ceresoli offre molti spunti di riflessione.
Il vescovo riconosce, dal suo punto alto di osservazione le molte “cose positive” della Chiesa di Bergamo. Ma, insieme, fa l’esercizio della lucidità e riconosce che su tutto il versante della diocesi è in atto un pesante ridimensionamento.
L’espiscopato Beschi, periodo di “ripiegamento”
L’espiscopato Beschi, dunque, soprattutto negli ultimi anni, si trova di fronte questo compito: capire, gestire, guidare un periodo di “ripiegamento”. Le ritirate, soprattutto quando seguono a grandi vittorie, sono sempre difficili e quando non si è abituati a perdere è difficile perdere e se si perde, si perde male. La diocesi di Bergamo era abituata bene. Il caso del seminario è esemplare. Quello che era considerato l’eccezione sullo scenario dei seminari italiani è rientrato nella regola e lo ha fatto pesantemente e rapidamente. Quest’anno verrà ordinato un solo sacerdote, mentre normalmente, tra pensionamenti, malattie, morti escono dal servizio attivo, ogni anno, una trentina di preti. Lo sbilancio è impressionante. Il calo degli alunni del seminario accentua anche il calo ormai irreversibile del numero dei preti e il loro sempre più pesante invecchiamento.
I preti e la Chiesa
Si fa notare che parlare solo dei preti quando si deve parlare della Chiesa è rifare il difetto solito: far coincidere la Chiesa con gli uomini di Chiesa. Ma il problema è che la Chiesa di Bergamo – e soprattutto il nucleo portante della Chiesa che è la parrocchia – ha da sempre una fisionomia che si usa definire “tridentina”: una comunità molto legata al territorio, con le sue lunghe tradizioni, le sue devozioni e, al centro, il prete. Oggi, la comunità locale è in crisi perché è in crisi la figura del prete e viceversa.
Il vescovo parla dell’iniziativa in corso per superare quella crisi e, quell’eccessiva concentrazione sulla figura del prete: è l’istituzione delle CET (Comunità Ecclesiali del Territorio), delle fraternità sacerdotali, con i nuovi organismi che ne fanno da elementi coordinatori e animatori.
Ma si discute. La massa dei laici non conosce i termini esatti della riforma e tra i preti molti seguono con onesto interesse la cosa. Alcuni – non pochi – restano ai margini e guardano. Ma le critiche che si fanno a questa riforma non si sa bene dove vogliono parare. Difendere quello che c’era non ha senso: dei 28 vicariati soppressi, meno della metà aveva il “consiglio pastorale”, con i laici. Dunque i vicariati erano soprattutto strutture ecclesiastiche e i laici erano, in buona parte, i grandi assenti. Con la riforma non si perde nulla, dunque. Forse si guadagna qualcosa. Forse perché non è chiaro fino a che punto i primi interessati, i preti, ne sono convinti. Perché i preti, in questo tornante, si trovano in una situazione difficile: per essere dei bravi preti devono essere meno preti, per gestire bene le loro comunità devono farle gestire, o meglio gestirle insieme. Ma questo comporta una piccola rivoluzione copernicana. Che non è facile. Il vescovo ne è perfettamente cosciente. Anche nell’intervista all’Eco parla della ricorrente tentazione del clericalismo, dei suoi rischi, del suo necessario superamento.
La Chiesa non esiste per la Chiesa
Tutta l’intervista, il senso delle riforme in corso, si possono ricondurre, poi, a una preoccupazione che il vescovo sente molto. I preti sono dei buoni preti se sono dei servitori, cioè se si interessano degli altri e non di sé. Così la Chiesa è una buona Chiesa se si apre al mondo, agli uomini… La Chiesa, in fondo, non nasce per difendere se stessa.
Gli ultimi passaggi del vangelo ci presentano il Risorto che chiama a sé i suoi amici, ma li chiama a sé per mandarli “nel mondo intero”. Strana scommessa del Vangelo: più si è vicini al Maestro e più ci si deve spingere lontano. Come tutte le scommesse si può anche perdere. È interessante, comunque, che, intanto, la scommessa venga fatta, con coraggio, dal Vescovo e dalla sua – pardon: dalla nostra – Chiesa.