L’educazione sentimentale dei preadolescenti: un manuale per aiutare i genitori

“La verità, vi prego, sull’amore: raccontatela a chi sta crescen­do, nella sua complessità, ma soprattutto nella sua bellezza”, è la frase-guida del libro “Il primo bacio”(De Agostini 2019, Collana “Parenting”, pp. 240, 15,00 euro) di Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Bio-Mediche dell’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di prevenzione in età evolutiva, e di Barbara Tamborini, psicopedagogista.

In queste pagine gli autori descrivono “L’educazione sentimentale dei nostri figli preadolescenti”, come recita il sottotitolo del volume. Il testo, infatti, è un perfetto Baedeker dove l’adulto cerca di trovarele parole giuste per parlare sull’amore ai ragazzi, aiutandoli a vivere la propria affettività con consapevolezza. Se è vero che il primo bacio non si scorda mai, anche perché è il primo passo che conduce il preadolescente e l’adolescente verso l’età adulta, diventa quanto mai importante spiegare ai ragazzi come trovare la loro strada partendo da alcuni valori di riferimento.

Abbiamo intervistato Barbara Tamborini, autrice di numerosi testi educativi per l’età evolutiva, che ha vinto il Premio Giovanni Arpino inediti, e da anni conduce laboratori nella scuola primaria e secondaria.

Dottoressa Tamborini, lei ha quattro figli la cui età varia dai 10 ai 18 anni. Secondo la sua esperienza è meglio aspettare le domande dei figli oppure giocare d’anticipo dialogando sull’amore in maniera spontanea?

«Sicuramente è importante iniziare a parlarne prima che arrivino le domande per raccontare nella pratica ai nostri figli che siamo genitori che non hanno paura di coinvolgersi in un dialogo che parla di sentimenti. Nella vita quotidiana i pretesti per parlare di affettività e sessualità sono infiniti. Quando camminiamo per strada e notiamo un cartellone pubblicitario, quando guardiamo insieme un film, quando qualcuno dice qualcosa che ha a che fare con la sessualità, ecc. Queste sono tutte occasioni, dove l’adulto può far finta di non vedere e di non sentire oppure può dire al proprio figlio: “Ecco la vedi questa cosa, che ne pensi?”. Tutto per dimostrare ai figli il desiderio e la voglia di dare parola partendo proprio dalle nostre emozioni, da quello che sentiamo e da ciò che muove in noi la sessualità. Questo vale soprattutto se tra mamma e papà c’è una vita di coppia che funziona bene, in tal modo si trasmette ai figli un’idea positiva della sessualità. Trasmettere ai figli che l’affettività, il volersi bene è anche fatto di gesti che raccontano questo ingrediente fondamentale della vita».

Quale visione dell’amore e degli affetti rischiano di avere oggigiorno i ragazzi sempre iperconnessi?

«Una visione superficiale. Per avere un’idea complessa dell’affettività occorre poter approfondire il ragionamento, condividere il pensiero, provare a scavare a fondo. Il rischio più grande per i bambini e i ragazzi di oggi, che stanno molte ore con uno strumento digitale in mano, è di avere poche esperienze di relazione diretta, sia con i genitori e sia con i coetanei. Se ai bambini viene concesso di avere uno smartphone molto presto, il rischio è che siano molto più connessi piuttosto che fare esperienza diretta. Quest’ultima è fondamentale, perché è da lì che inizia un apprendistato, dove i genitori e gli adulti hanno il ruolo di aiutare i bambini a trovare le parole esatte. Faccio un esempio: a tavola, genitori e figli possono relazionarsi al massimo per costruire un’intesa e un dialogo ma se c’è un televisore acceso, questo viene notevolmente impoverito come potenziale. Il rischio di molta digitalizzazione toglie spazio alla parola, alla costruzione di abilità relazionali che nascono dall’interazione diretta, faccia a faccia e non si possono sostituire, non si possono apprendere leggendo un libro o vedendo un video».

Per quale motivo i genitori hanno ancora una sorta di tabù nel parlare di amore e sentimenti con i propri figli, e i ragazzi a chi si rivolgono principalmente per risolvere qualche loro dubbio in merito, ai coetanei o alla famiglia?

«Gli adulti fanno fatica perché, se pensiamo alla nostra storia, molti di noi non hanno avuto un’esperienza alla quale fare riferimento, perché i nostri genitori non hanno fatto educazione sessuale con noi e non ci hanno spiegato molte cose. Noi genitori potremmo rifare la stessa cosa, ma il contesto sociale è molto cambiato da allora. Se noi genitori non parliamo di educazione sessuale, tutto grida intorno a noi con messaggi sessualmente molto espliciti. Quindi l’educazione sessuale ai propri figli bisogna prenderla come una priorità educativa. Lo sforzo che abbiamo fatto nel libro è stato quello di provare a guardare perché si fa così fatica a parlare di sessualità e di sentimenti con i figli. Abbiamo fatto esempi pratici partendo da diverse situazioni, il primo elemento è che un genitore deve ascoltare quello che gli succede dentro, che emozioni prova, riprendere il filo della propria storia perché ognuno di noi è stato figlio, è stato ragazzo. Dobbiamo aiutare i nostri figli a farli orientare in questo mondo così complesso. Per risolvere qualche loro dubbio i ragazzi si rivolgono principalmente ai loro coetanei, è così da sempre e sarà cosi per sempre. Un’altra fonte di informazioni adesso è la rete, ma purtroppo Google non dà risposte specifiche. Se un professore universitario con tutta la sua competenza per una sua ricerca digita una parola su Google dal connotato sessuale trova la stessa risposta che potrebbe trovare un ragazzino di nove anni che per curiosità ha digitato quella stessa parola sul motore di ricerca più conosciuto al mondo».

Gli oratori rappresentano la principale agenzia educativa informale su diversi argomenti quali affettività e sessualità. Anche gli educatori devono raccogliere la sfida di cercare le parole giuste per parlare di amore ai ragazzi?

«Assolutamente sì. Per molti anni l’oratorio è stato insieme alla scuola, entrambi contesti educativi fondamentali, l’unica agenzia educativa. Negli oratori, è necessaria una formazione di base, perché fino a qualche anno fa il modello educativo era quasi fuori dal tempo, che faticava a dialogare con un contesto sociale completamente mutato. Mi riferisco all’educazione sessuale non dei più piccoli ma degli adolescenti e delle giovani coppie, dove la complessità è sicuramente cresciuta. Ci sono stati contesti che sono stati al passo dei tempi e si sono resi capaci di dialogare con questa complessità, anche perché il percorso preconfezionato fatto di divieti in questo momento, e anche in passato, non risponde ai bisogni profondi della persona che deve maturare la capacità di produrre un pensiero complesso proprio. Negli oratori c’è una sensibilità molto forte per una sessualità piena, appagante e promotiva ma è chiaro che il percorso lo fanno le persone, e spesso questa attenzione si traduce poi in un’offerta adeguata e sufficientemente complessa, a misura dei bisogni dei ragazzi».

La seconda parte del testo intitolata “Emozioni”, è un viaggio nella storia di quaranta primi baci. Ce ne vuole parlare?

«Questa parte del libro è molto utile per dialogare di affettività con i maschi che sono sfuggenti quando si parla di questi argomenti. Abbiamo inserito 40 storie, 20 di maschi e 20 di femmine, alcuni baci belli e alcuni problematici. Partiamo da piccoli racconti che si leggono in pochi minuti e proviamo a usare questi spunti per confrontarci con i nostri figli per capire queste storie cosa muovono in loro. Se ci si riconoscono o no. Spesso i figli fanno fatica a condividere la loro esperienza, il primo bacio, la mediazione narrativa ci è sembrato un buon metro per toccare un argomento tanto delicato quanto cruciale».