Resistènse in sima al paìs, Resistenze in cima al paese. L’altrove oltre il ronco

“Resistènse in sima al paìs”   – L’altrove oltre il ronco

Ciao Marissio. Cóme ala? Prim de töt ü grassie grand come öna cà, anse come ol cesù de Cömendü,  per l’invìt che te me fàcc ’sto óst sö i ruch co i müsicàncc d’Eüròpa. Laùr fò del mónd! Pròpe ’n del sènso de chi che crèd che ’l mónd a l’sìes ‘m pó piögrand de chèl che ghe par a nóter.  Quace laùr che örèss dìt come t’ìe prometìt! Ma ’l dì l’è piömalfà del fà….

Ciao Maurizio, come va? Prima di tutto un grazie grande come una casa, anzi come il chiesone di Comenduno, per l’invito che mi hai fatto questo agosto su nei ronchi con i musicanti d’Europa. Cose dell’altro mondo! Proprio nel senso di chi crede che il mondo sia un pochino più grande di quello che appare a noi. Quante cose vorrei dirti come ti avevo promesso! Ma il dire è più complicato del fare…….

 

… A proposito, con le tue  “Resistènse“(editrice Interlinea- 2016), come ci suggerisce Franca Grisoni  nella presentazione del libro, tu esorti a praticare alcune forme di resistenza nella realtà quotidiana del mondo, ovvero a “vivere senza paura”, di più, affermi che ciò che occorre per resistere in una vita che abbia davvero significato, sia un alto desiderio di vita. E non solo per gli umani, visto che tutte le creature coinvolte dai tuoi versi, animali e cose comprese,  sembrano svelare un‘anima.

Tanto incisiva e nitida la sintesi di Franca che non rimane a chi la legge che percorrere con fiducia i tuoi versi per incontrare via via, la salamandra sincarlina che resiste ai bordi della strada, i contadini sul ronco, e persino gli angeli che sono senza mantello e cantano come pettirossi con  voce arrugginita, come arrugginita resiste pure la graffiante canzone del tuo amico poeta Fernando.

E resistono le rose d’inverno che  lottano contro un destino epilettico, resiste la cinese che si arrampica a ridosso dei nostri muri con l’ostinazione del luppolo e resistono le donne di Srebrenica che aspettano invano i loro uomini e i loro ragazzi, mentre va avanti la guerra. Resistenze, io credo, che, tanto più desiderio di vita richiedono, tanto più sembrano smascherare  una condizione di disagio che a volte insinua sconforto;  nulla a che fare comunque col male di vivere che fa precipitare tutto nel non senso.

Non è da te il nulla Marissio, non viene affatto da te la resa. Sei partito dal ronco – ruch, su quei pendii orobici dove talvolta la natura accresce la durezza del lavoro del contadino e talvolta lo aiuta, favorendo il godimento di profumi, sapori e le carezze del levante.
Hai conosciuto poi luoghi urbani che hanno dimenticato  e sacrificato il ruch, luoghi certamente meno ameni e ospitali, abitati da uomini che non sanno o hanno dimenticato quanto l’aria di ruchpossa nutrire l’animo. Strada facendo, sei andato oltre, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che opponesse una resistenza al progressivo e inesorabile sfacelo della realtà quotidiana oltre e dopo il ruch.
Un altrove che non tanto era rintracciabile su coordinate geografiche, ma su sentieri e percorsi umani, che trovasti spesso derubati e vilipesi  dalla povertà, dall’ingiustizia e dalla guerra; un altrove  quindi  dentro l’uomo e il suo tempo.

Con “Resistènse” credo tu abbia osato andare anche oltre il tempo dell’uomo, forsanche verso quel tempo in cui “ …Dio in cielo… menemà  a mano a mano costruiva il mondo… e … pativa senza sapere fino in fondo l’incaponirsi del torto e della ragione – l’incrapunàs del tórt  e la resù.”…  In questo luogo non  hai trovato che croci profanate e sotterrate, diverse da quelle che sulle tue colline riescono ancora a suscitare  “il fiato di un’avemaria” . Dici  bene, da cristiano quale sei,  che non cammini sollevato da terra,  ma tieni sempre il peso dei sassi del Sère  nelle tasche dei calzoncini corti,  che poi  il “Dio in cielo / ha accarezzato il suo morto / e inventato il perdono – ‘l Dio ‘n cél/ l’à incaressàt ol sò mórt / e ‘nventàt ol perdù”.
Per te la speranza, e qui ti invidio, ha “i tuoi occhi di bambino/ che chiedono / di rimettere al mondo / il mondo – i tò öcc de s-cètì … che domanda de rimetì al mónd ol mónd”.Da noi, dici ancora,  “si aspetta … il buono della storia, la nascosta tenerezza -….’l bù de la stòria, la scundida tenerèssa.”

Ecco come il tuo resistere alla realtà quotidiana, è dare senso alla vita, desiderandola; rinverdendo la speranza. Ora, detto così, sembrerebbe tutto apposto, che tutto collimi in una realtà  che ha sì le sue asprezze, le sue fatiche, i suoi dolori, ma che, tutto sommato, il buon fine sotteso a tutto questo tribolare non possa che avere un esito garantito, salvo coltivare un po’ di buona volontà e tenere viva la speranza, ammesso che anche questa non sia di così arduo conseguimento. Niente di tutto questo.  “Resistènse” e tutta la tua poesia testimonia che neppure la fede sia di scontata e agevole acquisizione, anzi, può essere in molti casi, se non sempre, compagna di un dramma, perché, come diceva anche padre Turoldo, “Il dramma è Dio”.

RESISTÈNSE IN SIMA AL PAÌS. Letta da Ferruccio Giuliani. Per sentire >>>>>

 

RESISTÈNSE IN SIMA AL PAÌS

I m’à dìcc ca l’è partida
da zó ’n fónd al paìs
öna smagia ùcia
co ’l sò fà sito e ö mantèl.
 
La sènte picà sö i mür
in salida
che la sbrènta ascadésse raìs
e no la sgara öna strécia
ö cartèl.
 
La vé ’n sö co la nòcc
desgürlida
 ö gré de curuna ön invìs
e ö spéret de bordèl:
’n dó che i fécia
la suna.
 
La rierà ché
sidrada
e ’n d’öna lösnada bugiuna
m’ga farà sènt ol cortél
o éta méa infasnada,
ol sangh a sfrìs
 ‘n de la zalda scòcia
de la lüna.

RESISTENZE IN CIMA AL PAESE

Mi hanno detto che è partita
da giù in fondo al paese
una macchia unta
col suo silenzio e un mantello.

La sento picchiare sui muri
in salita
che divelle indolenti radici
e non sgarra un vicolo
un cartello.

Viene su con la notte
scossa
un grano di corona un desiderio
e uno spirito da bordello:
dove affittano
suona.

Arriverà qui
assetata
e in un baleno ciccione
gli faremo sentire il coltello
o vita mia affascinata,
il sangue a sfregio
nella gialla scotta
della luna.

 

Ma, guarda caso, chissà perché,  proprio nell’ultima lirica di “Resistènse”, dietro l’immagine significativa, tanto silenziosa quanto inquietante, quale quella di  “una macchia unta – öna smagia ùcia, per di più vestita di silenzio e mantello, ho intuito lo svelarsi di una presenza drammatica  che nel suo incedere inarrestabile intende raggiungere qualcuno, che potrebbe assomigliarti molto, seduto lì, in cima ad un paese disposto ad anfiteatro, …in sima al paìs, ospite  nell’ultimo ordine di gradinata, quello più vicino agli dei,  ad assistere ad una danza, un rito…o chissà quale rappresentazione…

Da dove parta questa macchia non è dato sapere, né chi l’abbia mandata,  né cosa rappresenti. La sua minaccia e la sua indole distruttiva, sembra non lasciare scampo. Curiosamente  viene dal basso, da zó’n fónd al paìs. Per Dino Buzzati, che ambedue amiamo, il terrore proveniva sempre dall’alto, dal bosco, dalle “montagne impossibili”, come dall’alto siamo soliti immaginare che provengano le punizioni degli dei, sia nella tragedia greca che nella Bibbia. L’incarnarsi della colpa di Edipo e l’avverarsi delle devastanti e punitive profezie  di Tiresia scaturirono da oracoli partiti dalle sommità di Zeus per materializzarsi nel bosco di Citerone, grazie al colpevole buon animo del pastore di Polibo che salvò la vita al piccolo frutto del male. L’uomo, credo, non cesserà mai di chiedersi da dove origini il male, il dramma.

La tua macchia Marissio,  il tuo dramma invece parte dal basso. Molto curiosa per me questa tua “invenzione”, questo punto di vista. Semplice e casuale variazione di prospettiva? Non credo. Ma non ho mezzi né desiderio per avventurarmi  in letture analitiche o letterarie; mi lascio semplicemente trasportare dalla forza immaginifica che mi trasmette questa “macchia” . E guarda caso dove mi ritrovo a resistere per non soccombere in questa scura marea verticale? E dove, di nuovo,  se non nel  ruchche ti sei ricostruito nel tuo immaginario? Neppure qui voglio abbozzare o decodificare la forza simbolica riposta in questo tuo luogo “prediletto”. Sta di fatto che nel ruchtu poni ancora una volta il tuo punto di salvezza.

In nessuna poesia come in questa della “Resistènse in sima al paìs”  il ruch assume la forma  e l’essenza dell’altrove, come luogo dell’animo umano per eccellenza. E mi chiedo quindi quale possa essere, nell’animo tuo l’origine del dramma, il ruolo di Dio e quale nome possa avere finalmente questa macchia se è vero che poesia è dare il nome alle cose.  Ci conosciamo abbastanza Marissio, e lette queste mie scombinate elucubrazioni  non ti sarà difficile comprendere il perché io prediliga questa tua lirica che per me assume una valenza fondamentale nella tua poetica.  La notevole forza evocativa della “smagia ùcia”   invita qualsiasi lettore a mettersi in cima al paese  e a  guardarsi dentro per ricercare le proprie forme di resistenza ad una vita quotidiana che oggi sembra concedere anche poche speranze.

Fèro

Fèro, alias Ferruccio Giuliani è poeta (Fèr ramènch, Edizioni Letterarie 2016 MI) autore, attore e regista teatrale bergamasco. E’ anche grande interprete. Quando legge poesia, come ha fatto con questa, è un pittore di suoni e di mondi che restituiscono dolcissima compagnia. Fèro è soprattutto un amico, caro, che ascolto sempre pensando che gli voglio bene. A lui la mia stima e riconoscenza. (MN)