Il beato Teresio Olivelli: martire della fede nel lager e ribelle per amore

«Il Beato Teresio Olivelli è stato un “ribelle” per amore, un martire della fede e della carità. Per lui i valori cristiani erano un valore assoluto e rendevano grande l’Italia». È la sintesi della vita del Beato Teresio Olivelli tracciata dal vescovo di Vigevano Maurizio Gervasoni in un incontro, in collaborazione con l’Associazione nazionale partigiani cristiani d’Italia-sezione di Bergamo (Anpc), tenutosi giovedì 17 ottobre nel salone parrocchiale Santa Margherita a Torre Boldone nell’ambito del cammino culturale promosso dalla parrocchia. Teresio Olivelli nacque a Bellagio il 7 gennaio 1916, ma in seguito la famiglia si trasferì nei pressi di Vigevano. Dopo aver partecipato alla campagna di Russia come sottoufficiale di sanità, divenne rettore del prestigioso collegio Ghislieri di Pavia. Il 9 settembre 1943, essendosi rifiutato di collaborare con i nazifascisti, fu deportato in diversi campi di concentramento, ma riuscì a evadere, unendosi alla Resistenza cattolica, fondando anche il giornale clandestino «Il ribelle». Arrestato a Milano il 27 aprile 1944, fu deportato in tre lager, dove aiutò i compagni e diede assistenza religiosa ai moribondi, e infine in quello di Hersbruck, in Germania, subendo vessazioni e percosse soprattutto per la sua fede. Mori in seguito a un calcio allo stomaco il 17 gennaio 1945 per aver difeso un prigioniero ucraino dalle percosse dei kapò. È stato beatificato a Vigevano il 3 febbraio 2018 dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi. «Stiamo per ascoltare una storia stupenda», ha detto Marina Pighizzini, segretaria dell’Anpc Bergamo, salutando i presenti, fra cui il parroco monsignor Leone Lussana. Anche il vescovo Francesco Beschi ha inviato una lettera di adesione.

Monsignor Gervasoni ha ricordato che, al suo arrivo in diocesi, a Olivelli era già stata riconosciuta «l’eroicità delle virtù». Poi due testimonianze, soprattutto quella di un compagno italiano di prigionia, poi emigrato negli Stati Uniti, hanno fatto sì che fosse dichiarato «martire della fede». «Questo testimone ormai molto anziano, agnostico, affermò che lo stile di vita di Olivelli era quello di un cappellano. Aiutava feriti e malati, difendeva i compagni e dava loro il suo cibo. Questo atteggiamento di fede e carità rendeva rabbiosi i comandanti, perché dava personalità alle persone, cioè quella che volevano annientare. Per lui, Gesù Cristo che è amore si era abbassato per rialzare l’uomo peccatore, per cui l’uomo doveva difendere i valori cristiani che erano la grandezza dell’Italia. Era un idealista non ingenuo». Agli inizi vide il fascismo come difensore di questi valori, ma poi di fronte al nazifascismo scelse di combattere il regime e di diventare ribelle. «Con alcuni compagni — ha proseguito il vescovo — fondò il giornale clandestino “Il ribelle”. Nel suo primo editoriale scrisse che si sentiva fiero del disprezzo dei nazifascisti e della loro concezione del mondo. Non si sentiva di lasciar soli gli italiani in un momento tanto tragico». La figura di Olivelli è stata presentata ai giovani di Vigevano. «Ne sono rimasti molto colpiti — ha concluso il vescovo —. Il Beato è un grande esempio di speranza, coraggio e scelte per i giovani, che hanno la volontà mortificata dal consumismo».

Lo storico Mario Fiorendi ha quindi parlato del giornale «Il ribelle», di cui ha letto varie pagine intense. «Non è un bollettino, ma un giornale che spinge ad aprire gli occhi, che vuole costruire il futuro. Vi si leggono valori che sono confluiti nella Costituzione e oggi tanto necessari».