SuperTeddy: un orsetto per donare coraggio ai bambini malati

Vorrei tanto che la storia di SuperTeddy fosse più romantica di quanto sia in realtà, ma fin da piccoli non amiamo le storie per come meramente sono, ma per come sono raccontate.

Vi racconterò quindi la sua storia come quella della creazione di un uomo, quella di qualcuno venuto al mondo in un preciso istante delicato e prezioso e di qualcun altro che lo aspettava.

Il mio orsetto è entrato nella mia vita solo un anno fa, non è con me dall’infanzia o da quando ne avessi memoria, è arrivato quando ero già grande e forse penserete sia arrivato in un momento dove non avessi nemmeno più bisogno di lui.

Era uno strano mese di Novembre, non il solito piovoso e grigio Novembre, mi trovavo in Australia e quindi si trattava di un mese di regalata primavera.

In quel posto dall’altro capo del mondo, ho creato quello che sarebbe stato un mio amico in questa seconda fase della vita: il colore del suo pelo, quello degli occhi, quanto dovesse essere morbido per poter essere abbracciato, quali fossero le misure perfette perché potesse stare tra le mie braccia.

Gli ho poi dato un cuore, rosso fiammante, morbido, l’ho strofinato vicino al mio, da bimba nata con un cuore malato, quella era la cosa più importante.

Ho dato un cuore speciale al mio SuperTeddy, un cuore che custodisse un mio desiderio, affinchè non potesse scappare o me lo portassero via, lo abbiamo cucito, come hanno fatto con me, non è facile accettare cicatrici importanti sulla pelle, ma bisogna imparare che si trattano di ricami.

I vestiti potranno coprirli, ma noi ci ricorderemo per sempre da dove vengono, sia quando lo noteranno gli altri, sia quando dopo la doccia l’occhio ci si poserà sopra, ma alla fine ci abitueremo e forse vorremo anche loro bene.

Il mio SuperTeddy, nuovo, profumato, e con un cuore aveva bisogno di essere vestito, ho deciso che sarebbe stato un supereroe, non uno qualsiasi, uno a stelle strisce.

Il rosso, il blu e le stelle per ricordarmi che la Giulia di 6 anni, che credeva che tutto il mondo finisse nei padiglioni dell’Ospedale Riuniti, è riuscita ad arrivare fino in America, da sola, con le sue stesse gambe, ma soprattutto con quel cuore.

A SuperTeddy ho comprato anche gli stivali, perchè di passi ne ho fatti tanti, e vorrei tanto recuperare tutti quelli persi mentre ero sdraiata su un lettino di ospedale.

Da ultimo, il mio orsetto ha uno scudo, per proteggermi da tutto quello che, nonostante sia grande può ancora spaventarmi, dagli incubi all’ansia dell’esame di Psicometria e un cappello.

Non indossa mai il cappello, perché mi piace guardare il suo musetto tenero e dolce, ma quel cappello mi ricorda tanto quello che mi metteva il mio Papà, per non farmi prender freddo in Curva Nord.

Caro te, caro bambino in pediatria, cara mamma o papà di un bambino in pediatria, per tanti anni sono stata sotto la pioggia, la grandine, la neve e mi sono fatta sbattere a destra e sinistra dal vento, pensando che sarei riuscita solo a fare quei 40 punti che mi facessero rimanere in Serie A, ma non mi sono arresa ed un giorno sono arrivata a San Siro e ho vinto, ma ho vinto in Champions League.

I desideri per esaurirsi richiedono coraggio, pazienza, e tanto tempo, per fortuna quando me lo dimentico posso abbracciare il mio SuperTeddy e ricordarmi che il mio cuore è nato con un buco perché tutto questo non potesse fermarsi lì, ma arrivare fino a te.