Coronavirus: esilio e speranza

Siamo impauriti di fronte alla valanga di malati e di morti per il Coronavirus. Come vedete dal vostro monastero questo dramma? Soprattutto come vedete il fatto che siamo costretti a isolarci? Siamo diventati un po’ tutti monaci di clausura, in questo periodo. Giulio

Caro Giulio, stiamo vivendo un dramma epocale che mai avremmo immaginato. Le notizie che giungono dai mezzi di comunicazione o dai nostri familiari, ci inquietano. Per ora non siamo state colpite dal virus, ma alcune nostre sorelle hanno avuto gravi lutti in famiglia.

Come in una guerra silenziosa, come in esilio

In questo frangente abitiamo sentimenti diversi: l’impotenza di fronte a un nemico invisibile che sta colpendo la nostra terra, come fossimo in una guerra silenziosa. La sofferenza per le tante vittime, il dolore dei  loro familiari, il numero sempre crescente dei malati, l’instancabile lavoro degli operatori sanitari. La preoccupazione per non sapere quanto questa pandemia potrà durare e per le conseguenti ripercussioni umane, sociali, economiche.

Ci sentiamo in comunione con papa Francesco, con tutta la Chiesa e l’umanità in questa situazione di esilio, come l’ha definita il nostro vescovo Francesco, messi a nudo nella nostra illusoria onnipotenza umana. Grande è la consapevolezza della provvisorietà dell’esistenza, di come “in un lampo uno verrà preso e l’altro lasciato” senza neppure avere il tempo di un saluto, di un abbraccio, di tutti quei gesti di cura verso chi è malato, o di quei riti di commiato che permettono di fare il “lutto” per la perdita di una persona amata.

Sì, siamo in esilio, una “clausura” allargata, privati di contatti, di una normale quotidianità e dei riferimenti abituali: tutto diventa circoscritto alle mura domestiche e tutto si amplifica. Un sacrificio sociale che stravolge le vite di singoli e famiglie, di lavoratori, di tutti, che mai avremmo pensato di vivere in obbedienza alla vita, pena l’estendersi del coronavirus.

Occasione per nuove impegnative domande

Dentro questo dramma, che non vogliamo sminuire, si può aprire un’ opportunità, una via di ricostruzione che la situazione può favorire. Stanno venendo alla luce forme di generosità e prossimità sorprendenti che donano speranza e dicono la capacità di solidarietà nella sofferenza, l’enorme risorsa di bene che si attiva in questo tempo di emergenza e che, speriamo, non debba mai finire con il ritorno alla normalità. Quanti volontari  stanno offrendo  aiuti di ogni genere, e quanta dedizione eroica di medici, infermieri, personale sanitario!

Questa clausura forzata può far riflettere sulla provvisorietà dell’esistenza, sui nostri stili di vita forse un po’ egoistici, chiusi e diffidenti verso gli altri; sulla fede negata o professata, come relazione che aiuta a rimanere in questo tempo di prova. La fatica non apra solo al rancore o alla ribellione, ma sia occasione per abitare alcune domande, rimanere nella sospensione, nell’attesa di intravedere timide risposte. In molti ci chiediamo il perché di quanto sta accadendo, ma forse dovremmo aprire anche uno spazio su altre domande alle quali solo personalmente possiamo rispondere:  “Per chi vivo, sto spendendo la mia vita; su chi o cosa sto investendo, che cosa ci fa davvero vivere, di che cosa si nutre la vita?.”

Domande impegnative che scavano nel pozzo profondo del cuore, a volte chiuso ermeticamente, ma che questo momento può far emergere perché tutto non passi invano.

Rinsaldare i legami

Rimanere in questo “ritiro”  può rinnovare la nostra relazione con il Signore in una preghiera personale o familiare più pacata, aiutata dai mezzi di comunicazione permettono di pregare con il rosario o di assistere all’Eucarestia. Strumenti semplici che ci fanno sentire in comunione con i fratelli e non perdere la nostra realtà di “essere chiesa” comunità.

Ma poi, una grande opportunità può essere quella di rinsaldare i legami familiari, vivere una maggiore comunicazione uscendo dall’abitudinarietà o dalla fretta per guardarsi negli occhi, ascoltarsi e scoprire la ricchezza condivisa della realtà della propria famiglia, dei piccoli gesti dell’amore rinnovato.

In questi giorni i social mostrano cartelli che vogliono essere un segno augurale con le frasi: “Tutto andrà bene”, per tenere alta la speranza e non cedere allo scoraggiamento.

Dopo la Passione, la Pasqua

Sì, tutto andrà bene, questa “passione dolorosa” terminerà e celebreremo la Pasqua.  Come credenti, pur nella sofferenza, osiamo fare un passaggio ulteriore lasciandoci provocare: “Tutto concorra al bene di coloro che amano Dio”. Speriamo che ciò che è accaduto non scorra invano e rimanga una parola nuova di cambiamento di vita. Siamo certi che il nostro Dio ci è vicino e sta portando con noi questo dramma. Se abbiamo qualche dubbio, poniamo il nostro sguardo sul Crocifisso, sulle sue braccia spalancate, sul suo petto squarciato, segno di un amore che non ha fine.

E silenziosamente, lasciamo scorrere lacrime di pentimento e  di conversione, foriere di vita nuova.