Covid-19, il terzo settore si mobilita per la “Fase 2” della cura: “Mettiamo al centro le persone”

In queste ore di riapertura, in cui dopo oltre cinquanta giorni di quella che è stata definita Fase 1, quarantena, distanziamento o isolamento sociale, #andràtuttobene e #iorestoacasa, la sensazione è quella che l’Italia abbia già dimenticato la situazione drammatica delle settimane passate, in cui non ci si interrogava sulle nuove forme di socialità, quanto piuttosto se mai fosse arrivato un momento in cui l’andamento drammatico di nuovi casi, ricoveri in terapia intensiva e decessi fosse finalmente diminuito. La sensazione, ora, è quella che la riapertura rischi seriamente di vanificare gli sforzi compiuti e di dimenticare che negli ospedali, ma soprattutto sul territorio, ci sono persone ancora positive al virus.

E, a proposito di territorio, Giuseppe Guerini, presidente di ConfCooperative di Bergamo, racconta come è nata l’idea che, proprio sul territorio, fosse il terzo settore ad occuparsi della fase 2, parafrasando, quella della dimissione ospedaliera per quanti non potessero tornare a casa. «Quando, sul territorio bergamasco, c’è stata una crescita esponenziale dei casi di COVID e sembrava che le strutture ospedaliere e territoriali  non sarebbero state sufficienti per accogliere tutti, il proprietario dell’hotel La Muratella, a Cologno al Serio, ha manifestato immediatamente la propria disponibilità a trasformare la propria struttura in un luogo di accoglienza. Grazie una coincidenza fortunata, più che fortuita, negli stessi giorni le Aziende Sanitarie Locali della provincia hanno emesso dei bandi di manifestazione d’interesse per le strutture che avessero voluto convertirsi in luoghi di accoglienza di pazienti COVID. E così è nata la collaborazione tra cooperative e strutture alberghiere, per dare continuità anche ai servizi offerti dalle cooperative». Il terzo settore bergamasco, ma non solo, si occupa, infatti, di una rete di servizi territoriali, dall’assistenza infermieristica alla presa in carico della disabilità e della marginalità sociale che, con l’avanzare dell’emergenza epidemiologica, non si sarebbe potuti interrompere. Per questo motivo, diverse cooperative del territorio hanno deciso di lavorare in squadra, portando ciascuna la propria specificità, per ri-costruire un nuovo modello di prendersi cura. «Questa esperienza ci sta mostrando la via da seguire per il futuro della cooperazione, per un nuovo modello di assistenza a livello territoriale. Ora, quando l’emergenza sanitaria da coronavirus sarà, se possibile, rientrata, ovviamente verrà abbandonato il modello dell’accoglienza presso strutture alberghiere, il che, però, implicherà la ricerca di nuovi spazi e nuove forme dove abitare la cura».

Le riflessioni che dovranno accompagnare questa Fase 2, allora, secondo Guerini, dovranno essere tutte quelle profondamente interconnesse alla ri-costruzione di uno stato sociale, nella sua accezione più originaria: dalla sostenibilità del welfare all’andare oltre la centralizzazione ospedalizzata della cura, dal lavoro di rete alla gestione preventiva di potenziali emergenze sanitarie future, senza, però, dimenticare, come conclude Guerini che «ripensare la cura significa riconoscere la centralità della persona, cercando un apparentemente paradossale equilibrio fra la rigidità che questa situazione ha insegnato, nella logistica e nella sicurezza, e l’umanità di cui i fragili, ma non solo, chiedono di ritrovare forza attraverso lo stare insieme».

(Foto di Giovanni Diffidenti scattata al Bes Hotel)