Si attendono risposte che, dopo tanto disorientamento, diano il segnale della direzione da prendere per raggiungere la normalità pur sapendo che questa parola si è sgretolata.
Sono domande legittime e responsabili che esigono una grande capacità di discernimento in chi, a diversi livelli, deve stabilire priorità, modalità, tempi.
Dietro a queste domande ce ne sono altre che non è sempre facile cogliere.
Anche attorno alla grande domanda di senso su quanto è accaduto e sta accadendo ci sono questioni che vengono dal profondo dell’animo umano, chiamano in causa le cose ultime e, inesorabilmente, portano a interrogare la fede.
Accade che a queste domande si risponda con parole di indiscutibile valore ma non sempre capaci di sanare ferite e lacerazioni, di attenuare o rimuovere perplessità e dubbi.
Forse è azzardato scrivere così ma l’impressione è che spesso si abbia uno strano timore nel dare un nome alla fede. E questo nome è Dio.
Certo, in una situazione drammatica dove la ricerca di salvezza e di sicurezza è fortissima, è difficile dire che la risposta è il Dio che si lascia insultare, tradire, percuotere, crocifiggere.
Non si cerca Dio in un letto di terapia intensiva.
In un tempo di disorientamento ci si rivolge a chi offre sicurezze e certezze, non a chi è perdente.
A chi serve un Dio “fragile”?
Per tentare una risposta occorre volgere lo sguardo attorno e, ad esempio, scoprire che Dio è nella dedizione di un medico, di un infermiere, di quanti svolgono lavori umili ma utili, di quanti si fanno compagni di strada nelle solitudini.
Accennando a queste persone Papa Francesco alla messa di domenica 3 maggio in Santa Marta ha auspicato: “Che l’esempio di questi pastori preti e pastori medici, ci aiuti a prenderci cura del santo popolo fedele di Dio”.
Parlare di pastori è parlare dell’umanità di Dio e l’umanità è intrisa di fragilità.
Forse bisogna ascoltare il silenzio che prende la parola per dire che, aggredite dal male, le fragilità del bene, del vero e del bello resistono e vincono. Lo stesso silenzio è attorno a quei “pastori medici” per i quali nessun malato è un senza nome, come nessuna pecora è sconosciuta al pastore. Nello stesso silenzio, che diventa stupore, si scopre un giorno dopo l’altro che la risposta fragile è in realtà la grande e unica risposta alle domande ultime.

Foto di Giovanni Diffidenti