Le parrocchie, le offerte che crollano, il futuro tutto da inventare. Annotazioni a margine della pandemia – 01

Mancano i fedeli, mancano le offerte

I giornali, dall’inizio della pandemia in poi, sono pieni di cifre: non solo quelle dei contagiati, dei guariti, dei morti, ma anche le percentuali di calo nel commercio, nell’industria, nel povero, disgraziato turismo… Abbiamo letto anche che il comune di Bergamo incasserà un milione in meno per il crollo delle multe e della tassa di soggiorno.

Di fronte a questa abbondanza di dati – abbondano i dati per dire che scarseggiano i soldi – mi domando quanto abbiano perso economicamente le parrocchie. Le parrocchie, infatti, si reggono, quasi interamente, su quelli che, con un gentile giro di parole, si chiamano i “liberi contributi” dei fedeli. Ma nella pandemia i fedeli non ci sono e quindi non possono versare i loro liberi contributi. Le parrocchie, tuttavia, hanno un vantaggio: non sanno quello che hanno perso perché è difficile valutare esattamente le cifre dei contributi che, per definizione, sono liberi. Le parrocchie, quindi, possono godere di un vantaggio rispetto alle istituzioni pubbliche: non sanno quanto hanno perso e, non sapendo quanto hanno perso, possono consolarsi di non sapere per quanto devono piangere.

I pochi cristiani di oggi e i pochissimi del primo secolo

Le chiese vuote della pandemia fanno pensare alla Chiesa, quella di adesso e quella che verrà. Questa necessaria e faticosa riflessione può attingere qualche spunto dal passato della Chiesa, quello lontano soprattutto.

Negli anni 60 della nostra era, i cristiani non dovevano essere più di tremila (G. O’Collins, Farrugia, Cattolicesimo, pag. 14), con una popolazione dell’Impero romano di 70-90 milioni di abitanti (Gli Atti degli Apostoli parlano di migliaia di nuovi cristiani, ma i numeri di Luca, autore degli Atti, sono ritenuti simbolici e non effettivi). Dunque, dopo trent’anni, i cristiani erano, in tutto il Medio Oriente, e forse oltre, una moderna piccola parrocchia. Se vogliamo ragionare con i nostri criteri, dovremmo dire che, in quel periodo, iniziale, per i primi trent’anni, i cristiani rappresentavano, calcolando la cifra di 80 milioni di abitanti dell’Impero, lo 0,04 del totale della popolazione. Verso la fine del primo secolo “vi erano probabilmente meno di 10.000 cristiani, i quali componevano circa cinquanta comunità: in Spagna (forse), nella Francia meridionale (forse), in Italia, Grecia, Asia Minore, Nord Africa, Egitto, Medio Oriente e, più oltre, in Iran e in India”. Dunque 10.000 cristiani, per cinquanta comunità, e una percentuale su un totale della popolazione dell’Impero (si può pensare a 90 milioni) che era pari allo 0,1 per cento.

Davvero, la comunità cristiana, nasce come minoranza, piccolissima minoranza, trascurabile. Se si pensa che noi ci riferiamo a quella fase della storia come a storia, in qualche modo, esemplare e fondante, si deve dire che la lunga fase nascente della comunità cristiana, è la fase della straordinaria fragilità e piccolezza.

Non è allora fuori posto, tutte le volte che la comunità cristiana entra in una forma di fragilità, che si torni a pensare che la Chiesa torna nascente. Il problema, semmai, è che una fase nascente della Chiesa, oggi, passa attraverso, necessariamente, una fase morente. E oggi si vede questa e si fatica a immaginare quella.