Ernesto Viscardi, missionario in Mongolia: “Piccole comunità attente all’essenziale”

«Nel Paese dove bevi l’acqua, osservane le leggi» recita un proverbio mongolo. E così è stato anche in campo religioso. Nei 17 anni di presenza dei missionari della Consolata in Mongolia, «il primo grande sforzo di adattamento è stato proprio quello di capire il battito del cuore della gente locale, la sua storia passata, le sue preoccupazioni presenti e le sue ansie per il futuro», racconta padre Ernesto Viscardi. Classe ’51 di Villa d’Almè, già missionario della Consolata nello Zaire (1979-1991), dal 2004 in Mongolia.
Il Paese centro-asiatico, spartiacque tra la Russia e la Cina, è caratterizzato da un’importante storia passata, «segnata dall’epopea del grande impero di Chinggis Khaan e di Khublai Khaan», da una lunga tradizione religiosa shamano-buddista e, dopo 70 anni di socialismo, da una giovane esperienza democratica, iniziata nel 1992 in concomitanza con l’arrivo dei primi missionari cattolici dopo secoli di assenza. «La Mongolia è grande 7 volte l’Italia, ma ha, grosso modo, la stessa popolazione della sola provincia di Milano: i suoi 3.400.000 abitanti vivono, sparsi, su un altipiano di steppe e deserti, caratterizzato da climi piuttosto rigidi – racconta padre Ernesto, che vive ed opera ad Ulaanbaatar, la capitale -. Pur non appartenendo a quell’immagine di Asia che come europei normalmente ci facciamo, il Paese condivide con il resto del continente ricchezze e limiti che non devono sfuggire all’occhio attento del missionario».
In primo luogo, il senso della dimensione religiosa e della presenza del divino. «Qui l’esistenza dell’Essere Supremo, il Dio del cielo, non è in discussione, se non per essenza, forma o apparenza. Luoghi, celebrazioni, eventi, nascita, vita, morte: tutto è legato al trascendente, al divino, a qualche cosa di invisibile ed eppure presente». Poi, il principio di armonia, cardine dei rapporti tra le persone e con l’ambiente. «Comportamenti armoniosi garantiscono una vita ordinariamente pacifica e arricchita da prosperità. Nell’ottica locale il peccato non è solo azione individuale, ma può avere evidenti ricadute sociali negative. La natura stessa è piena di simboli, luoghi e esistenze spirituali. E come tale va rispettata».
Quale è, quindi, il ruolo del missionario in una realtà simile? «La gente mongola si aspetta che sia un esperto del divino, e come tale un maestro di vita.  Come è difficile, alle volte, spogliare il missionario da tutti quegli aspetti e atteggiamenti da imprenditore di Dio per riportarlo al suo compito primario di familiare di Dio. Del resto, l’evangelizzazione in Asia non è semplice: l’essere minoranza, in qualche modo fede importata, e quindi all’apparenza estranea, le restrizioni religiose di molti Paesi, e il fatto che il grosso della popolazione cattolica presente in certe Nazioni sia fatta non da gente locale ma da immigrati sono questioni che non aiutano la diffusione del Vangelo, anche se obbligano la comunità-Chiesa all’essenziale». E pur nel desiderio, esposto dalla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC), di affrancarsi dal colonialismo missionario tipico degli anni precedenti e nello sforzo teologico di definire il volto asiatico di Cristo, ossia un contenuto di fede che abbia senso nel contesto del continente, le difficoltà sul campo non mancano. Specialmente in terra mongola. «Dal clima rigido, che d’inverno si avvicina a quello siberiano, diventando selettore naturale anche dei missionari, alla lingua, non facile per strutturazione e pronuncia. E, poi, le mille regole di comportamento e di galateo che scandiscono la vita quotidiana dei locali, l’esiguità delle nostre comunità, per un totale di 1350 cattolici in tutta la Mongolia, i permessi di residenza e per l’attività religiosa da rinnovare sovente e i tanti controlli e ispezioni delle autorità locali. Tutti fattori che obbligano il missionario all’esercizio della pazienza, anche perché ospite in terra mongola».
Un Paese del quale, dal suo arrivo nel 2004, padre Ernesto è diventato un decano. «Sto vivendo anni di grande grazia e di speciale esperienza missionaria, in una realtà che nell’ultimo periodo ha accelerato i suoi ritmi economici, sociali e culturali. La Prefettura Apostolica, che di recente ha avuto un nuovo vescovo con monsignor Giorgio Marengo, anch’egli missionario della Consolata, e da qualche anno ha festeggiato un sacerdote locale e un diacono prossimo all’ordinazione, è ben cosciente delle sfide che deve affrontare. La Chiesa degli Atti degli Apostoli è un po’ l’esempio da leggere e meditare per situazioni quasi identiche alle nostre. Convinti che, come i primi cristiani sono stati guidati dallo Spirito, anche noi ne riceveremo tutto l’aiuto per portare il Vangelo fra questo popolo della Mongolia».