Mazzoleni, il pellegrinaggio del vescovo parte dalla tenerezza: “Non vergognatevi di essere buoni”

Ha le guance tonde, un po’ arrossate dal freddo, si chiama Oscar ed è un bambino di pochi mesi il più giovane dei partecipanti alla preghiera di apertura del pellegrinaggio pastorale del vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi che si è svolta nei giorni scorsi a Mazzoleni, piccola frazione di Sant’Omobono Terme, in Valle Imagna. Un venerdì, al mattino di un giorno feriale, ma c’erano comunque un centinaio di persone, distanziate, con la mascherina ben posizionata sul viso, nel pieno rispetto delle regole anti-covid. Affollato il parcheggio davanti alla chiesa parrocchiale della piccola frazione.

La preghiera si è svolta in un’atmosfera raccolta, semplice, familiare, che è proprio ciò che ci si attende da questa visita: un cammino fra la gente, che è anche un modo per fare il punto sul percorso delle comunità della diocesi, in cui ognuno – non solo chi ne viene direttamente toccato – può rispecchiarsi.

Ai piedi dell’altare c’era una statua di Maria e per chi, come noi, si trovava nella navata laterale della chiesa parrocchiale l’immagine del vescovo sull’altare risultava quasi incastonata fra le sue braccia. La devozione mariana è una delle cifre caratteristiche di questo territorio: poco lontano da Mazzoleni, fra l’altro, si trova il Santuario della Cornabusa, dedicato alla Madonna Addolorata, meta ogni anno di migliaia di pellegrini, entrato da poco a far parte dei “Luoghi del cuore” del Fai. Salendo per le strade un po’ aspre della Valle un occhio attento può notare anche altri piccoli segni di una fede genuina, popolare, fatta dei piccoli gesti di ogni giorno, come i fiori freschi lasciati davanti alle santelle.

Questa prima tappa del pellegrinaggio abbraccia 19 parrocchie, in un territorio in cui si trovano 16 preti: vederli tutti sull’altare intorno al vescovo, nell’avvio di questo incontro, ci è parso un segno concreto dello stile della fraternità e della collaborazione. Elementi chiave ai quali ha dato un impulso decisivo la creazione recente delle Comunità ecclesiali territoriali (Cet).

Non ci sembra casuale che il percorso sia partito proprio da una zona “periferica” della diocesi, la frazione di un piccolo comune, collegata al capoluogo da una strada stretta e tortuosa. Luoghi ricchi di storia e di bellezze naturali, attraenti per i turisti in cerca di relax, passeggiate e tranquillità, luoghi in cui la crisi economica tuttavia si riflette in tante saracinesche abbassate.

Nei giorni in cui ricorre un anno dall’inizio della pandemia, il vescovo ha invitato ad allargare lo sguardo, a non sceglierla come unica chiave di lettura del presente: “Siamo nel mezzo della pandemia, ma non vogliamo che questo sia il nostro unico punto di vista. Questo è il tempo del Signore. Non aspettiamo che la pandemia finisca per essere cristiani”.

In un momento in cui la distanza fra le persone è più grande, in cui crescono la diffidenza e i contrasti, il vescovo ha invitato a mantenere il cuore aperto: “Le vostre comunità potranno essere ancora più ospitali e fraterne se coltiverete il sentimento della tenerezza – che è il contrario della durezza di cuore -, se allenerete le dimensioni della mansuetudine e della mitezza. Non trascurate di coltivare la bontà: non vergognatevi di essere buoni. Dio è presente nei piccoli gesti di bontà e di comprensione». Un atteggiamento ancora più prezioso “di fronte al crescere della violenza tra gli adolescenti e nel linguaggio”.

Il vescovo ha puntato l’attenzione sul perdono: “È la punta di diamante di tutto: così come Gesù ci ha perdonato così fate anche voi, in famiglia e nella società”.

Questa è la prima tappa di un itinerario che durerà per sei anni attraverso le parrocchie della nostra diocesi, nel segno dell’incontro e del dialogo: “Sono venuto da pellegrino per riconoscere il volto di Gesù nelle vostre parrocchie attraverso i tratti della prossimità, dell’ospitalità e della fraternità”.