Da Bergamo alle grandi capitali europee, i giovani a caccia di nuove opportunità

L’Italia ha perso 384mila residenti sul suo territorio e sono 5.652.080 al 1° gennaio 2021 gli italiani residenti all’estero (il 9,5% degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia) con un aumento del 3% nell’ultimo anno, pari a 166mila presenze. 

È quanto emerge dalla XVI edizione del “Rapporto italiani nel mondo 2021” curato dalla Fondazione Migrantes presentato di recente a Roma, definito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio: “Una bussola sulla mobilità umana”. 

Il 45% degli oltre 5,6 milioni di iscritti all’Aire (l’anagrafe per gli italiani all’estero) ha tra i 18 e i 49 anni, il 15% sono minori, il 20,3% ha più di 65 anni. 

La Sicilia è la comunità più numerosa all’estero, con oltre 798mila iscrizioni, seguita da Lombardia, Campania, Lazio  e Veneto. Bergamo è al secondo posto in Lombardia per i residenti all’estero: 155.916 infatti arrivano da Milano e provincia, segue la nostra città con 62.874, al terzo posto Varese con 62.606. Lodi con 6.094 cittadini nel mondo è quella meno presente. 

Dell’exploit di Bergamo, della sua lunga storia di emigrazione e del presente parliamo con Don Sergio Gamberoni, direttore dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti di Bergamo.

Don Gamberoni, anche nel 2020 oltre 109mila connazionali sono emigrati all’estero in mete più vicine, durante la pandemia. Se è vero che la popolazione residente nella regione è scesa sotto la soglia dei dieci milioni, c’è una Lombardia che continua a crescere lontano dai confini nazionali. Sono solo i giovani bergamaschi che partono o anche interi nuclei familiari? 

«Sono anche interi gruppi familiari, soprattutto di famiglie giovani con bambini, questo diventa un fenomeno di emigrazione con famiglie, perché i genitori sono convinti che il bilinguismo per i figli possa essere una risorsa quando l’emigrazione avviene nell’età infantile e nei primi anni della scolarizzazione. Un fenomeno piccolo ma in crescita è legato alle persone di una certa età, che decidono di vivere da pensionati in Portogallo, dove le agevolazioni fiscali per i pensionati sono molto convenienti e il clima è piacevole. C’è anche chi parte per fare esperienza all’estero, sapendo già che entro qualche anno tornerà in patria. I giovani che partono, talvolta portano con sé la compagna, sperando di fare esperienza e ottenere ottime opportunità lavorative. C’è anche un gruppo di persone che raggiungono i figli, che già vivono all’estero, arrivati alla pensione vanno a ricongiungersi con coloro che sono emigrati, cinque, dieci anni prima. Certamente la maggior parte dell’emigrazione è legata ai giovani e a questioni di lavoro. Non necessariamente percepita come definitiva. Anche le donne sole partono, spesso senza vincoli familiari, hanno 20/30 anni, alla ricerca di uno spazio professionale e sociale, scegliendo di andare a vivere in un contesto diverso». 

Attira di più l’Europa o il resto del mondo? 

«Attira di più l’Europa anche perché i Paesi europei sono più vicini. Germania, Svezia, Inghilterra, Spagna, sono le mete più ambite».

C’è chi invece è ritornato nei luoghi di origine? 

«Certamente. C’è ed è una ricchezza anche per la Bergamasca. Chi torna, torna per svariati motivi, perché all’estero non ha trovato quello che cercava, perché ha concluso il suo personale progetto di crescita e professionale, decidendo di stabilizzarsi in Italia. C’è chi rientra a causa della salute dei propri genitori e c’è chi rientra perché preferisce che i figli vadano a scuola nel loro paese di origine, perché così hanno più rete sociale e educativa, dopo aver acquisito un’altra lingua. Si torna umanamente arricchiti, me ne sono reso conto anch’io dopo aver vissuto per dodici anni in Bolivia, incontrando tanti altri emigrati che facevano parte della comunità italiana in Argentina, Cile, Brasile, Uruguay e Venezuela. Si torna da un’esperienza sia continentale piuttosto che intercontinentale con una mentalità aperta al cambiamento, arricchita da altri modelli sociali».

Emblematico è il caso del paese di Blello in Val Brembilla, uno dei comuni meno popolato della Bergamasca.  Ce ne vuole parlare? 

«Sì, secondo la graduatoria dei primi 25 comuni lombardi per incidenza del “Rapporto italiani nel mondo 2021”,  Blello, è al terzo posto, con  74 abitanti, mentre 68 sono emigrati. Dalle campagne, dalle zone rurali si emigra verso la città, motivati da molte questioni, come quelle economiche, di lavoro e di studio. I giovani sentono stretto il territorio di origine rispetto alle loro aspirazioni. Quello di lasciare l’alta valle per la pianura, per la città, per i giovani rappresenta un primo salto. Il secondo salto è quello di emigrare da una città semmai della propria regione a una città all’estero. Ma da un po’ di tempo si osserva che i giovani nati e cresciuti nei paesi o nei piccoli borghi emigrano direttamente verso le città europee: Svizzera, Belgio, Spagna. Ho incontrato la settimana scorsa un giovane di 26 anni di Bagolino, paesello delle periferia di Brescia, che conosce sei lingue e già ha vissuto in sei paesi europei. C’è tutta un’emigrazione giovanile capace di cogliere le opportunità, che ha il desiderio di vivere in una società plurale, tollerante e mobile. Giovani che percepiscono di sentirsi cittadini del mondo. Questo è il frutto del lavoro di tanti anni di comunità europea». 

Il fenomeno dell’emigrazione bergamasca attraversa tutta la storia del Novecento. Verso quali Paesi emigravano i bergamaschi, ce n’era qualcuno preferito? 

«Esistevano delle agenzie cittadine che si occupavano delle pratiche di emigrazione transoceaniche, ecco perché il Paese preferito dagli emigranti bergamaschi era il Brasile. Premetto che esiste il Centro Studi Valle Imagna, che ha ricostruito anche le storie di emigrazione di singole famiglie. In Brasile c’è un paese nel Rio Grande do Sul, dove addirittura si parla bergamasco e dove c’è una corale che ha scritto testi di canzoni di chiesa per la Messa in bergamasco. Esiste anche un CD di queste canzoni di chiesa che nessuno si sognerebbe mai di realizzare a Bergamo. Tutto questo è un segno di quella diaspora che mitizza il luogo di origine promuovendolo come caratteristica identitaria propria. Certo, è un modello di Italia ormai passata, alla quale però la diaspora è legata se si pensa che in questo lontano paese brasiliano è stata costruita una chiesa su modello di quella del Santuario di Caravaggio in cui si canta una messa in bergamasco, che nessuno nella Bergamasca ha mai scritto. Riassumendo, i bergamaschi nei primi anni del Novecento emigravano soprattutto in Brasile, poi, dopo la II Guerra Mondiale, i nostri connazionali sono emigrati in Svizzera, Belgio e Francia».  

L’emigrazione italiana della fine e dei primi anni del XX Secolo, i migranti meridionali nella Bergamo del boom economico, consentono di riflettere sugli stereotipi verso i migranti? 

«Sì, come ogni città produttiva del Nord d’Italia, anche Bergamo ha ricevuto negli anni Sessanta/Settanta una consistente emigrazione dal Sud d’Italia. Persone che salivano al Nord provenienti dalla Sicilia, Calabria, Puglia e Basilicata. Emigranti che sono stati stigmatizzati da stereotipi comuni, perché la persona che parla un dialetto, una lingua diversa è strana. Come è diverso l’atteggiamento, il modo di vivere. È un processo che viviamo a ondate, perché è sempre l’ultimo che arriva a ricevere queste stigmatizzazioni. Marocchini, senegalesi, nel Novanta l’arrivo in massa degli albanesi. Abbiamo avuto l’importante presenza della comunità boliviana, la più grande d’Italia, legata alle missioni di Bergamo in Bolivia. Siamo arrivati a calcolare 14/15mila boliviani presenti a Bergamo su 120mila abitanti, numero che ora si è ridotto per questioni di opportunità di lavoro. Dopo c’è stata la presenza nigeriana, oggi sarà quella del Bangladesh e del Pakistan. Anch’io, come ho detto prima, sono stato un emigrante. Sono stato missionario in Bolivia per dodici anni, questa è la ragione per cui ora il mio vescovo mi chiede di essere missionario a Bergamo, attento alla presenza degli stranieri in città senza però dimenticare i bergamaschi all’estero che stanno aumentando e che, come ben sappiamo, sono più degli stranieri in Italia».