Chiesa e missione. Dieci domande su carcere e giustizia. Risponde Riccardo Giavarini, laico missionario in Bolivia

Riccardo Giavarini

Questo mese il tema della rubrica “Dieci domande” realizzata in collaborazione con il Centro missionario diocesano di Bergamo, è la giustizia e la delicata missione svolta in carcere da Riccardo Giavarini 66 anni, nativo di Telgate, laico missionario. Giavarini si trova in America Latina da 45 anni.

Riccardo, riesce a condensare in poche parole la realtà in cui vive?

Vivo immerso nella vita di chi in Bolivia oggi è più fragile: i carcerati, le vittime della tratta, i migranti. E’ la mia vita da tanti anni e lo è stata anche per mia moglie Berta che ci ha lasciato poco tempo fa. Il mio primo approccio missionario con l’America Latina, in Bolivia e in Perù, è stato all’interno di un progetto legato all’attività pastorale giovanile ma il tema della difesa dei diritti umani bussava continuamente al cuore mio e di Berta. Dopo tutti questi anni ora lavoro con un’équipe di 76 persone che credono in questa missione.

L’approccio con il carcere come è avvenuto?

Quindici anni fa sono entrato per la prima volta in carcere a La Paz e mi sono reso conto subito delle condizioni in cui vivevano i minori tra i 16 e i 21 anni. Condividevano gli spazi con gli adulti e ed erano spesso vittime di abusi e violenze. Erano detenuti senza appoggio legale e senza alcun progetto per la loro vita futura. Era una situazione inaccettabile.

Cosa ha deciso di fare?

Di comprare una cella in carcere. Ci andavo spesso e quello era il mio punto di osservazione e di incontro. Bisognava prendere in mano la vita di quei ragazzi. Non si poteva a quella età darli per spacciati. In Brasile veniva applicato in alcune carceri il metodo Apac  (Associazione di Protezione e Assistenza ai Condannati)che si basa sull’autonomia, l’autodisciplina e la responsabilità. Quello stile poteva essere la strada giusta per i ragazzi minorenni. Mi sono reso conto che il primo passo era creare relazioni buone e poi con pazienza accompagnarli nelle diverse fasi fino all’assunzione di una propria responsabilità. Pensavo anche a quello che Don Fausto Resmini stava conducendo a Bergamo. Era per me un grande riferimento, sapeva vedere veramente lontano, costruendo rapporti di fiducia e credendo nei giovani. 

Quando ha realizzato questo sogno?

Nel 2011 è stato inaugurato il carcere di Qalauma, con un modello basato sulla giustizia riparativa. Non è mio merito, ma è il frutto del lavoro di tante realtà – ecclesiali, civili e di volontariato – che hanno creduto in questo. Il lavoro di rete resta fondamentale e indispensabile. 

Quali sono i reati principali per cui i ragazzi finiscono in carcere?

Al primo posto è il consumo e il traffico di droga. Poi c’è la violenza sessuale che avviene all’interno della famiglia o nell’ambiente scolastico. Al terzo e quarto posto i furti e gli omicidi. 

Com’è la vita in carcere ora per questi ragazzi?

Ho iniziato questa avventura dieci anni fa con 28 ragazzi. Ora ce ne sono più di 300. Seguono le lezioni scolastiche e i laboratori di falegnameria, agricoltura, metalmeccanica, cucina e serigrafia. Al mattino si studia e al pomeriggio si lavora. 

Il progetto funziona? 

Prima la recidività era molto alta. Ora si è praticamente dimezzata. E’ un intervento che mira a restituire diritti e responsabilità. Questo processo diventa un beneficio sia per il ragazzo stesso che per la società che poi lo accoglierà di nuovo. Abbiamo anche progetti di inserimento post-penitenziario dove preparare la propria autonomia ed essere introdotti al lavoro.

Prima ha citato anche il fenomeno della tratta e della migrazione. Quali progetti sono in atto?

E’ assai diffuso lo sfruttamento sessuale di bambine e adolescenti. Provengono spesso da famiglie destrutturate e molte di loro sono indotte dalle madri. L’obiettivo è interrompere questa catena e per loro è stata aperta una casa di accoglienza dove abitano attualmente 24 ragazze. Ci occupiamo della cura della salute e di processi di riacquisizione dell’autostima. Sono persone da ricostruire e a cui riaffidare il loro futuro. Il fenomeno è in aumento ed è in corso un progetto per ampliare la struttura. L’accoglienza è in atto anche per le famiglie dei migranti. Provengono da Venezuela, Cile e Argentina. Offriamo l’alloggio e spesso anche l’appoggio legale. C’è la necessità di politiche di accoglienza. E’ attiva una rete per creare condizioni umane a chi cerca opportunità per la propria vita.

Immagino sia ogni volta una stretta al cuore incrociare queste giovani vite. Come fa a reggere psicologicamente l’immersione totale in questa realtà così dure?

Sono cristiano e quando incontri Cristo non puoi stare fermo davanti a queste vite, devi metterti in movimento. Amare Dio senza amare profondamente l’uomo non esiste. Penso sempre a Dio come padre di tutti. Questa è la mia vita e a volte occorre farsi crescere i calli per resistere alle situazioni più dure.

Se dovesse regalarci un’immagine che rappresenta quello che ci ha raccontato, cosa sceglierebbe?

Uno specchio. Dobbiamo capire che questi ragazzi sono spesso il riflesso di ciò che noi adulti non siamo stati capaci di costruire e di offrire loro. La situazione sociale da cui provengono è spesso di grande disagio. La soluzione per offrire loro possibilità di riscatto non può risiedere in metodi duri o calati dall’alto. E’ nostro dovere oggi aiutarli a crescere, anche a cambiare, aiutarli a sognare. Se dai loro l’opportunità di sognare, sognano. E fanno bei sogni.

  1. Buongiorno,
    è una testimonianza che da’ gioia.La “rete” di 45 anni fa, silenziosa ha dato, da, tanti frutti buoni. I cristiani “attivi” hanno la forza dal cielo, dei loro predecessori come Fausto Resmini….
    Ecco: per me stessa ho capito or ora in questi giorni che ho lasciato fb dopo tanti anni che “silenzioso” è *fruttuoso* quando si condivide l’attività cristiana.La giustizia italiana (che tanto ho a cuore…) ha bisogno di essere considerata dai cristiani, (sempre il cristiano ha di essere”attivo”)
    in cerca del senso della Vita nella Verità.
    Potremmo star bene godere del regno che è qui, nelle gioie e nei dolori solo se i cristiani fossero attivisti della Chiesa di Pietro…
    Ecco questa “notizia” del Missionario Giavarini conforta ❤che sia di Buon auspicio nella Chiesa.
    Grazie🙂

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