La storia di Miriam Nembrini: “Adottare un bambino: una scelta importante, da fare senza paura”

«Non bisogna avere paura di scegliere la via dell’adozione, di assumere il ‘rischio’ dell’accoglienza». Sono parole di Papa Francesco, pronunciate nella catechesi dell’udienza generale del 5 gennaio, che hanno positivamente colpito e incoraggiato anche Miriam Nembrini, segretaria dell’associazione “Famiglie per l’accoglienza” di Bergamo che si occupa appunto di adozioni nazionali e internazionali.

«Nel 1986 io e mio marito abbiamo adottato una bambina indiana, dopo un percorso di riflessione concreta sul senso della fecondità – racconta Miriam -. Da neosposi, dopo un periodo di tentativi di gravidanza, eravamo convinti di adottare e abbiamo deciso di comunicarlo al sacerdote che aveva celebrato il nostro matrimonio. Lui troncò il nostro entusiasmo con un “no”, perché ci disse che non si adotta per riempire un vuoto e ci consigliò di fare da madre e da padre ai ragazzi che incontravamo sulla nostra strada».

Adottare per scelta, non per colmare un vuoto

Questa risposta spiazzante fece cambiare lo sguardo della coppia sul senso di fecondità della vita, con «piccole esperienze di accoglienza» che sono continuate poi nel tempo, anche quando sono nati gli altri tre figli.

Secondo Miriam è vero quel proverbio africano che recita “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, soprattutto è fondamentale per i figli adottati. «La rete di famiglie della nostra associazione condivide le gioie e le difficoltà dell’adottare, ma è anche una preziosa opportunità di accoglienza per dire ai bambini adottati che la loro vita non si ferma all’abbandono subito ma ha altre possibili opportunità – spiega – . Le famiglie inoltre non devono avere paura di accogliere, nemmeno quella che è stata la storia precedente, spesso drammatica, di questi bambini».

Un’idea da custodire anche in tempo di pandemia

E in questo tempo di pandemia come vanno le adozioni? «Per quanto riguarda la nostra associazione, l’ultima adozione internazionale risale a poco prima della pandemia, a febbraio 2020, ma sono molte le famiglie in attesa e il mio auspicio è, per chi avesse anche solo l’idea, di custodire il desiderio di adozione, iniziando a informarsi con le famiglie che già hanno vissuto questa esperienza perché è un percorso da vivere in condivisione. Per chi avesse già dei figli è bene che ci sia un’apertura e che respirino l’accoglienza anche in piccole esperienze quotidiane».