Fantacronache di rinnovamento pastorale. Fabio Colagrande racconta la vita in parrocchia post-pandemia

Nell’immaginaria diocesi di Salsiccia il vescovo Egidio Pancetta in accordo, ma più spesso in disaccordo con preti, suore e laici “impegnati”, si domanda come “fare comunità”, come dare slancio alle relazioni di una parrocchia dopo che pandemia e lockdown hanno vietato o fortemente ristretto le opportunità di contatto diretto.

La copertina del volume

“Don Gino passeggiava nervosamente per la sacrestia, avanti e indietro. Non riusciva a capacitarsi che quella mattina in chiesa ci fosse tutta quella gente”.

Con una penna satirica ma affettuosa Fabio Colagrande, giornalista e blogger, ha scritto“Ricordati di sanificare le feste” (Àncora Editrice 2022, Prefazione di Antonio Spadaro, Illustrazioni di Chiostri, pp. 160, 15,00 euro) per riflettere, sorridendo, sugli stereotipi e le vacuità del linguaggio ecclesiale, Fantacronache di rinnovamento pastorale post – pandemia”, come recita il sottotitolo del volume. 

L’autore nel testo dedicato “A papà mio”, compone diciassette racconti brevi prendendo in giro protagonisti, personaggi e situazioni delle sue cronache, per farne emergere i tic linguistici, le pose scontate, le formule trite. 

Se è vero che, come ricorda Gilbert Keith Chesterton nell’esergo del volume: “La serietà non è una virtù. Sarebbe un’eresia, ma un’eresia molto più giudiziosa, dire che la serietà è un vizio”, in questo emblematico libro si sorride, riflette, medita e ci si interroga leggendo.

Abbiamo intervistato Fabio Colagrande, nato a Roma nel 1965, che dal 1994 lavora alla Radio Vaticana come giornalista vaticanista e speaker, scrive per “L’Osservatore Romano” e altre testate cattoliche e ha collaborato come autore a diversi saggi dedicati alla Chiesa e alla comunicazione. 

  • Come è nata l’idea del libro? 

«L’idea del libro nasce da una rubrica “Fantaecclesia”, dal sottotitolo: “Cronache di fatti ecclesiali mai accaduti o quasi”,che ho tenuto per alcuni anni, ora la rubrica è sospesa, sul blog vinonuovo.it. In questa rubrica avevo tenuto uno stile di scrittura umoristico in cui raccontavo dei fatti ecclesiali in maniera fantasiosa usando dei nomi e dei termini inventati per definire diocesi che non esistono. Era la parodia di certi fatti ecclesiali, narrati mediante una satira gentile, mai cattiva, su certi difetti, fragilità, tic della vita ecclesiale italiana, intesa sia come vita parrocchiale sia come vita diocesana. Visto che la rubrica piaceva, ho pensato che sarebbe stato interessante raccontare in un libro la storia di una diocesi alle prese con il periodo della post-pandemia. Quindi gli spunti sono stati due: la rubrica e lo stile che avevo trovato per parlare in maniera leggera di cose anche serie e la pandemia, che è stato un momento di crisi e di rinnovamento anche per la vita ecclesiale. Ho pensato che si potevano mettere insieme le due cose per narrare come una diocesi immaginaria affronta questo periodo». 

  • Per quale motivo ha deciso di coniare nomi di persone e cose mutuate da salumi e insaccati come il vescovo di Salsiccia monsignor Egidio Pancetta, don Gino Ciauscolo, la parrocchia di Santa Prassede in Sugna, don Augusto Zampone, il sindaco Luigi Mortadella? 

«Il motivo vero e proprio non c’è. A livello stilistico, quando scrivevo nella rubrica “Fantaecclesia”, per ciascun raccontino sceglievo un oggetto, un cibo, un elemento, legando tutti i nomi di quello scritto al nome di quell’oggetto, cibo o elemento scelto. Nel libro ci sono due capitoli tratti dalla rubrica “Fantaecclesia”, uno di questi due capitoli parla della diocesi di Salsiccia, da lì ho provato a dare a tutti i personaggi i nomi di insaccati, salumi, ecc… La mia scelta mi piace, perché la trovo spiazzante e rende i personaggi più umani e più simpatici». 

  • Don Augusto Zampone è il classico prete youtuber. Ce ne vuole parlare? 

«Quello del prete youtuber è un fenomeno positivo nato sulla scia della pandemia, ma può avere delle ricadute rischiose. Molti sacerdoti soprattutto durante il lockdown si sono dovuti impegnare di più nella comunicazione digitale per ovviare all’impossibilità degli incontri in presenza, quindi anche le Messe sono state celebrate in streaming. Alcuni sacerdoti si sono specializzati in una sorta di catechesi on line, il più famoso è Don Alberto Ravagnani. Attraverso questa figura di prete youtuber ho voluto raccontare un aspetto positivo della pandemia, con tutti i limiti di una Chiesa istituzionale, che fatica a controllare tutti questi fenomeni, cercando semmai di appropriarsene, perché li teme anche. Con  tutti i rischi che il  mondo social comporta. Occorre pazienza, impegno, lavoro per gestire i commenti. Nella mia lunga esperienza su Facebook, ho visto molti preti in gamba patire i commenti provocatori. La Chiesa deve essere molto preparata quando arriva in questi territori nuovi, altrimenti si rischia il naufragio. Don Zampone è un personaggio positivo, in uscita e in gamba, che sa gestirsi molto bene. Nel libro ci sono delle caricature sia in positivo sia in negativo di modelli ecclesiali che ho incontrato nella mia quasi venticinquennale professione di giornalista cattolico e che in queste pagine ho voluto mettere a frutto». 

  • Quando parliamo di ecclesialese, a che cosa ci riferiamo? 

«È un modo per descrivere in maniera negativa il linguaggio ecclesiale negli ultimi decenni che spesso ho riscontrato come linguaggio autoreferenziale e che dietro le parole non ha nulla. Spesso è un uso delle parole fatto in maniera frettolosa, a volte sembra quasi che sia usato con intenzione, un linguaggio da “azzeccagarbugli”, come scrive Alessandro Manzoni nei “Promessi sposi”, che riesce a non dire nulla pur dicendo tanto. Come ha sottolineato Padre Antonio Spadaro nella Prefazione del libro, l’ecclesialese è un difetto che rivela l’incapacità della Chiesa di andare incontro al mondo e rivela una fragilità della stessa Chiesa nella comunicazione che va superata per raggiungere un linguaggio, che da una parte sia semplice e diretto e da un’altra sia pieno di contenuto. Sono convinto che forma e contenuto siano inscindibili, quando un linguaggio è debole significa che il contenuto si è perso». 

  • Come ha reagito la Chiesa alla prova della pandemia? 

«Tutto sommato si può dire che la Chiesa sia in cammino, ha reagito sentendosi messa in crisi, e questo è già molto positivo. Molti uomini di chiesa, sia fedeli laici sia sacerdoti e vescovi si sono resi conto che era il momento di fare nuove scelte, un momento che ha messo in evidenza le difficoltà della Chiesa di comunicare con il mondo, ma anche la volontà di superare questa crisi. Quindi la Chiesa ha reagito bene, intraprendendo un nuovo cammino di rinnovamento. Adesso però la Chiesa deve giocarsi nel post-pandemia. Ammesso che davvero sia finita». 

  • La crisi legata al Covid ha fatto emergere alcune criticità latenti nella Chiesa da tempo, come lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori? 

«Sì, sicuramente, diciamo che ha azzerato i giochi facendo emergere appunto lo scollamento con la società reale e le distanza tra fedeli e pastori. Secondo me la crisi legata al Covid ha rimesso in gioco la questione che a me sta a molto a cuore e che nel libro ho cercato di far emergere a tratti, della vita spirituale dei credenti. Sono convinto che un cattolico debba avere una vita spirituale quotidiana personale, che deve sempre incentrarsi sulla Messa domenicale, sui Sacramenti e che però non può basarsi solo su questo. Se non c’è una spiritualità individuale vissuta in maniera quotidiana e anche laica, cioè fuori dalla parrocchia, allora la comunità cattolica va in crisi. Rispettare solo il precetto domenicale è un modello superato, che ha portato a una secolarizzazione e a una disaffezione. La pandemia ha fatto emergere la necessità di una nuova spiritualità dei cattolici e una nuova spiritualità dei laici per vivere il Vangelo sul luogo di lavoro, in famiglia e non solo in parrocchia». 

  • Secondo Lei l’umanità ha compreso la preghiera sociale di Papa Francesco pronunciata venerdì 27 marzo 2020, in una Piazza San Pietro vuota, illuminata dai lampioni e bagnata dalla pioggia, incentrata sulla frase: “Siamo sulla stessa barca”?

«Anche qui parlerei di processo graduale. Certo, la reazione emotiva che c’è stata davanti a quell’immagine e a quella preghiera è stata grande. Un evento comunicativo estremamente efficace nella sua povertà e semplicità e nello stesso tempo nella sua intensità. Avvenimento che ha intercettato anche la domanda di molti non credenti, questo è stato l’elemento più importante. Se il messaggio del Papa sia stato compreso, circa la necessità di affrontare insieme la crisi, perché o ne usciamo insieme oppure non ne usciamo, è ancora presto per dirlo, è un percorso graduale. È interessante invece il messaggio della fraternità, che poi è quello dell’Enciclica “Fratelli tutti”, testo profetico pensando alla situazione che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, che sta trovando molto riscontro anche fuori dalla Chiesa. Un messaggio che facilita l’evangelizzazione. La cura dell’ambiente, la pace e la pandemia, le migrazioni, tutte sfide che i popoli del Pianeta possono affrontare e vincere solo tutti insieme».