La storia di Heinrich Schliemann, l’archeologo più famoso: “Realizzò i suoi sogni seguendo i versi di Omero”

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Il 2022 è l’anno dedicato all’archeologia, perché si celebrano tanti anniversari importanti: 100 anni dal rinvenimento della tomba di Tutankhamon, 150 anni dalla scoperta di Troia, 200 anni dalla decifrazione dei geroglifici della stele di Rosetta e 200 dalla nascita di un uomo che dedicò l’intera sua esistenza alla scoperta, animato da una inesauribile sete di conoscenza. Stiamo parlando di Heinrich Schliemann (Neubukow, 6 gennaio 1822 – Napoli, 26 dicembre 1890), protagonista del romanzo “L’uomo del sogno. Da Troia a Mozia, l’avventura siciliana dell’archeologo più famoso di tutti i tempi” (Solferino 2022, Collana “Junior”, pp. 160, euro 15,00) della giornalista e scrittrice Marina Migliavacca Marazza specializzata in tematiche di storia, società e costume, che collabora con diverse riviste tra cui “Io Donna”. 

La copertina del volume

Abbiamo intervistato l’autrice, la quale in queste pagine si sofferma su un episodio della vita del famoso archeologo tedesco, una delle figure più importanti per il mondo dell’archeologia per la rilevanza delle scoperte da lui compiute nel XIX Secolo, che raggiunse la celebrità con la scoperta, dopo anni di ricerche e studi, della mitica città di Troia e del cosiddetto tesoro di Priamo. 

“Il Tedesco è venuto qua a cercare un tesoro”. 

  • Quando sognare è potere. Desidera ricordarci brevemente la figura di Heinrich Schliemann, il vero Indiana Jones, che realizzò i suoi sogni di bambino quando leggeva l’”Iliade”, vagheggiando di ritrovare le rovine di Troia? 

«Schliemann è una figura affascinante da molti punti di vista: la sua vita supera la fantasia di un romanziere. Nato 200 anni fa, nel 1822, in un paesino del Meclemburgo, quinto di nove fratelli e sorelle, e figlio di un pastore luterano per nulla esemplare, pur essendo una sorta di enfant prodige con un’intelligenza superiore dovette lasciare il ginnasio per le precarie condizioni economiche della famiglia e farsi da sé. Aveva fin da piccolo un sogno: ritrovare la Troia che Omero descriveva nelle sue opere, di cui suo padre era un convinto ammiratore e cultore. Di fatto autodidatta, Heinrich arrivò a parlare e scrivere benissimo almeno sette lingue. Cominciò a lavorare giovanissimo come garzone in un emporio, ma con la sua mente eccezionale e la sua resistenza alla fatica e al sacrificio continuò a studiare la notte, imparando la partita doppia e i segreti della mercatura. Quando decise di partire per le Americhe naufragò fortunosamente in Olanda dove divenne agente di commercio, così bravo da venir spedito ad aprire una filiale in Russia. Nel paese dello Zar fece fortuna, sposò una ragazza russa, commerciò indaco prezioso per colorare le divise della Guerra di Crimea. Poi andò in California a cercare un fratello di cui si erano perse le tracce. Ne ritrovò solo la tomba, ma in compenso fece da tramite tra i cercatori d’oro e le banche, dormendo per mesi con gli stivali ai piedi e la mano sul calcio della pistola. Sempre più ricco, commerciò cotone, merce rara per la guerra di Secessione americana che aveva spopolato i campi. Quando ritenne di avere accumulato un patrimonio sufficiente, si permise di dedicarsi finalmente alla sua passione e seguendo la descrizione omerica scavò a Hissarlik, in Turchia, in condizioni avventurosissime. Nonostante gli scherni scoraggianti dell’intellighenzia accademica, che vedeva in lui un parvenu visionario, trovò Troia esattamente 150 anni fa: a cinquant’anni esatti il ragazzino cacciato dal ginnasio aveva coronato il suo sogno». 

  • Nel romanzo rievoca un episodio poco conosciuto dell’archeologo tedesco, quando nell’ottobre del 1875 svolse ricerche archeologiche in Sicilia, a Mozia antica città fenicia sita sull’isola di San Pantaleo, vicino a Marsala, dove Garibaldi sbarcò con i Mille. Ce ne vuole parlare? 

«Molti hanno sentito parlare di Schliemann, ma di solito se ne conoscono le avventure turche o micenee, o le polemiche sulla famosa maschera di Agamennone, ritenuta da molti studiosi una burla storica con la quale l’archeologo misconosciuto avrebbe voluto togliersi una soddisfazione nei confronti degli ambienti accademici che lo avevano sempre bistrattato. Ma pochi sanno che sia prima sia dopo aver scoperto Troia Schliemann era interessato a scavare in Italia. Venne nel nostro paese molte volte, scrivendo nei suoi diari commenti dettagliati perfino sul cibo e l’ospitalità ricevuta. Sono rimaste anche le lettere che lui si scambiava con le autorità del neonato Regno d’Italia. Sono più o meno i tempi del Gattopardo, per intenderci. In particolare, lui scavò in quell’isola particolarissima che è Mozia, quando ancora si chiamava San Pantaleo e non tutti erano d’accordo sul fatto che si trattasse del famoso insediamento fenicio. Mi è parsa un’ambientazione che avrebbe potuto interessare ancora di più il pubblico italiano, un piccolo scoop supportato dai diari di scavo che Schliemann teneva con diligenza, l’occasione per vedere l’archeologo in azione nel nostro Paese. Oltretutto mi ha colpita una più frivola coincidenza: il quinto episodio di Indiana Jones, il personaggio fictional che a lui liberamente si ispira, è stato girato proprio in Sicilia, vicino alla nostra Mozia».  

  • In Sicilia Schliemann incontra un giovane, Saro, già deluso dalla propria dura esistenza.  C’è una similitudine tra l’infanzia dell’uomo diventato famoso e il giovane alla ricerca della sua strada? 

«Il personaggio di Saro mi ha dato la possibilità di raccontare del lavoro duro nelle saline, della vita degli umili nell’Italia postunitaria, nella Sicilia appena uscita dal Plebiscito. Mi ha dato la possibilità di valorizzare il genio dei maestri artigiani come il padre di Saro, maestro d’ascia. C’è una perfetta similitudine nel percorso d’inizio dei due personaggi, Heinrich e Saro. Quando si incontrano, Schliemann è maturo, ha più di cinquant’anni ed è un uomo di grande successo. Saro è un ragazzo orfano, povero e confuso. Ma i loro esordi sono stati egualmente terribili. Heinrich era orfano di madre come Saro, e come lui disprezzato. Heinrich era innamorato di una ragazza, Minna, ma la famiglia di lei lo aveva respinto, così come è successo a Saro con Lia, la figlia del mulinaro. Saro vorrebbe diventare maestro d’ascia come suo padre, ha talento nello sbozzare il legno, ma viene scoraggiato, com’era capitato a Heinrich, espulso dal ginnasio e mandato a fare il garzone di bottega. Però Heinrich non si è arreso e la sua storia vera dimostra a Saro che “si può fare”: con tenacia, credendo nel proprio sogno – e soprattutto nelle proprie possibilità».

  • Ha scritto questo libro pensando anche a tanti nostri ragazzi, i quali si sentono un po’ come Saro, e hanno bisogno di riuscire a credere in loro stessi e nel futuro soprattutto dopo il trauma della pandemia? 

«Ho molte amiche, ex compagne di liceo e di università, che hanno scelto la nobile strada dell’insegnamento. Anch’io, con i miei romanzi precedenti a questo, come “La moglie di Dante”, che racconta la vicenda di Gemma Donati, bazzico molto le scuole. Non si può negare che gli ultimi due anni siano stati particolarmente duri per i nostri giovani. Così ho cercato un modo per raccontare loro una storia movimentata, divertente, drammatica, in grado di fornire uno spaccato di un’epoca, celebrando questo anno molto archeologico col respiro leggero della narrazione romanzata ma raccontando fatti veri. Dentro il romanzo c’è l‘evidenza di un exemplum, di un uomo che è riuscito a diventare l’archeologo più famoso del suo tempo partendo da una condizione oggettivamente difficilissima di povertà, di disprezzo sociale e di dolore personale. Non solo, Heinrich è anche fisicamente fragile, ma supera i suoi malanni e le sue debolezze con la forza interiore. Stringe i denti e va. Lavora e studia di notte, fa cose che gli altri trovano troppo faticose, come spostarsi per le steppe innevate della Russia a far commercio a venti gradi sotto zero. Sa rapportarsi con i rozzi cercatori d’oro quanto con i principi di sangue. Quando decide che gli serve sapere una lingua, la impara, con un metodo tutto suo, insistendo con una sorta di full immersion. Insomma, è uno che non si lascia scoraggiare, e se fallisce ci riprova, o coglie dal fallimento la lezione giusta». 

  • Il 2022 è l’anno dedicato all’archeologia non solo perché ricorre il bicentenario della nascita di Heinrich Schliemann, il cui motto era: “Talento vuol dire energia e perseveranza. Tutto qui!”, ed esergo del volume? 

«Il 2022 è un anno squisitamente archeologico per la convergenza di diversi anniversari che si riferiscono a momenti epocali. 200 anni fa un altro enfant prodige, Jean – François Champollion, riusciva a decifrare i geroglifici incisi sulla stele di Rosetta, battendo sul tempo gli inglesi, che dopo aver vinto Bonaparte si erano ripresi la famosa lapide nera ritrovata da un capitano napoleonico durante la campagna d’Egitto e si erano messi a studiarla. Ma Champollion non si era dato per vinto, aveva lavorato su delle copie e ce l’aveva fatta. Il celeberrimo Howard Carter 100 anni fa scopriva la tomba di Tutankhamon quando già il suo finanziatore Lord Carnarvon minacciava di chiudere i rubinetti dei fondi dopo anni di insuccessi. C’è qualcosa che accomuna tutti questi studiosi, una ostinazione, una perseveranza veramente eccezionale. E vorrei anche citare una scoperta più causale, i 50 anni dal ritrovamenti dei bronzi di Riace avvistati da un sub vacanziero, che sulle prime aveva pensato di aver ritrovato un macabro cadavere, tanto era ben fatto il bronzo emergente dalle sabbie del fondale».

  • Leggendo la biografia del “cacciatore di tesori” si comprende che si rivelerà fondamentale per lui il secondo matrimonio con la greca Sophia Engastromenou. Che cosa ne pensa? 

«Schliemann ha un coté molto romantico, a ben pensarci. Da giovane povero viene respinto dalla ragazza che ama, la dolce Minna, figlia di un fittavolo che non reputa Heinrich all’altezza della figlia. Heinrich lavora come un pazzo e quando finalmente raggiunge uno status più che agiato torna a scrivere alla famiglia di lei e viene a sapere che la ragazza si è appena sposata con un altro! Di certo la dolce Minna non aveva il carattere per resistere alle pressioni dei familiari, che le dicevano che stava invecchiando e sarebbe rimasta zitella, anche se aveva appena una ventina d’anni. Heinrich deve aver sofferto terribilmente. Per giorni rimane a letto, senza la forza di tirarsi in piedi. Poi supera la crisi, si guarda allo specchio, vede questo giovanotto stravolto ed emaciato e decide di girare pagina. Sposerà senza amore Ekaterina, figlia di agiati mercanti russi, che non lo capirà mai, anche se gli darà tre figli, e divorzierà da lei in quanto cittadino americano (anche, sì!). Quando si risposerà, lo farà con una ragazza che potrebbe essere sua figlia, ha 30 anni di meno e condivide con lui la passione e la conoscenza di Omero. Sophie è greca e lo adora. Cita l’Iliade a memoria. Heinrich la porta con sé dappertutto e il cosiddetto tesoro di Priamo lo scaveranno insieme, lei lo metterà dentro il suo scialle e lo indosserà, modella ante litteram destinata a rimanere nella Storia, cingendo la fronte col diadema d’oro e mettendosi i pendenti e le collane per una foto che farà il giro del mondo: la moglie di Schliemann, la signora Schliemann, con indosso il tesoro che dimostra che il marito sognatore ha trovato Troia… Non fa venire i brividi?»