Icaro, una storia di luce per sorridere della fragilità e fuggire dalle prigioni quotidiane

Bergamo 30/04/22 - Altri Percorsi, Stagione 2022 ICARO autore, regista e interprete Daniele Finzi Pasca musica Maria Bonzanigo luci Marco Finzi Pasca produzione Compagnia Finzi Pasca Luciano Rossetti © All Rights Reserved

La carezza più struggente di “Icaro”, lo spettacolo di Daniele Finzi Pasca arriva alla fine, con quel lungo abbraccio e la porta dell’armadio che si apre e riempie la scena di luce – simbolo, potremmo dire, di rinascita e nuovo inizio -, con l’invito a proseguire il cammino (di scoperta, di pensiero, di libertà) da soli.

Uno spettacolo che ieri sera al Teatro Sociale di Città Alta, a Bergamo, ha festeggiato l’ottocentesima replica. Uno spettacolo unico, sempre diverso, anche se le battute sono (più o meno) le stesse, perché si fonda sulla magia dell’istante in cui si incontrano due sconosciuti. Un evento che si costruisce ogni volta su gesti, sguardi, intonazioni. 

Lo sfondo è la stanza di un ospedale psichiatrico, senza finestre, un’oscura, inospitale prigione. Il protagonista da anni se ne sta lì a sperimentare tutte le possibili sfumature dell’abbandono e della solitudine. Continua a pianificare la fuga, e ha dipinto un sole su un grande telo. Come avviene nel mito di Icaro, custodisce – fra molti incubi – il sogno di raggiungere la luce, il sole, e pensa di poterlo realizzare volando, costruendo ali con quello che ha: le piume del cuscino.

“Volevamo creare uno spettacolo – racconta Daniele nel prologo – che si potesse osservare dal buco della serratura”. 

Alla fine è davvero così, intimo e potente, il contatto che nasce tra il palco e gli spettatori. L’attore si sceglie il partner della serata passeggiando per la platea: ogni volta è uno sconosciuto, chiamato a reagire e a improvvisare, ad essere, in fondo, più di se stesso.

Ieri sera Finzi Pasca ha preso per mano una giovane donna, Lia, e con lei tutti coloro che erano nella sala. Li ha condotti in un percorso di intensa affabulazione, in un continuo crescendo.

C’erano, sì, l’alienazione della malattia mentale, la sofferenza causata dalla costrizione, una disperata solitudine, ma rappresentati, come non avremmo creduto possibile, con un’invincibile leggerezza. Daniele Finzi Pasca rompe volutamente lo schermo della finzione, va a prendere il pubblico per mano e se lo porta via, in un altro mondo. Accarezza le fragilità che sono comuni a tutti, che sono proprie della condizione umana, le ascolta, le accoglie. Usa le tecniche della clownerie, spinge a prendersi un po’ in giro, a ridere di gusto degli incubi e delle ossessioni. 

Alla fine tutti condividono – più o meno inconsciamente – la complicità di assistere a uno spettacolo “proibito” (“dal buco della serratura…”) entrando nelle ombre di una stanza d’ospedale, origliando le storie che i pazienti si raccontano per tenersi compagnia, ma c’è anche molto di più. 

Noi abbiamo letto fra le righe l’invito a esplorare la nostra personale prigione, con tutta l’oscurità che nasconde, e a cercare la luce, perché alla fine l’armadio si apre, e noi ce ne andiamo, ma non siamo più gli stessi. E non smettiamo di sorridere, semmai nascondiamo con pudore un po’ di (sana, sanissima) commozione. “Icaro” è in scena ancora il 30 aprile alle 20,30, peccato perderlo.