“Gli uomini passano, le idee restano”. L’eredità di Giovanni Falcone, trent’anni dopo. Il ricordo di Dario Levantino

“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Un pensiero profetico, quasi un testamento morale pronunciato da Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 – 23 maggio 1992), magistrato siciliano che dedicò la sua vita alla lotta alla mafia. Tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa Nostra, creò un metodo investigativo diventato modello nel mondo. Falcone venne assassinato nella strage di Capaci insieme alla moglie Francesca Morvillo e ai tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. 

Per non dimenticare quel giorno, dal quale sono trascorsi trent’anni, Dario Levantino, nato a Palermo nel 1987, insegnante e scrittore, da noi intervistato, ripercorre una delle pagine più buie della nostra Repubblica, scrivendo un libro “Il cane di Falcone” (Fazi 2022, Prefazione di Maria Falcone, con il patrocinio della Fondazione Falcone, pp. 180, 12,00 euro) sulle stragi di mafia e sulla figura del magistrato palermitano, raccontate con gli occhi di un cane. 

“Sono nato tredici anni fa, in un paesino in Sicilia, vicino Palermo”. 

  • Il libro è ispirato a un cane realmente esistito, vissuto ai piedi della statua dei giudici Falcone e Borsellino e soprannominato “il cane di Falcone”, dai magistrati del tribunale di Palermo. Ce ne vuole parlare? 

«Lessi questa notizia un po’ di anni fa, quando il cane morì. Leggendo l’articolo rimasi colpito dalla fotografia che accompagnava il pezzo. Questo cane randagio guardava nell’obiettivo in maniera fiera e guardinga. Straordinaria la storia di Uccio, che tra tutti i luoghi di Palermo, sceglie quello più simbolico, la statua dei giudici Falcone e Borsellino nel corridoio al piano terra del Palazzo di Giustizia di Palermo. Era tempo che desideravo scrivere un libro su Falcone e quindi giocando di fantasia mi sono chiesto: “Se Uccio fosse vissuto un decennio prima e avesse veramente conosciuto Falcone, come lo avrebbe raccontato?”. Da questa idea è partito l’atto creativo del romanzo». 

  • Uccio, cane veggente, e Giovanni Falcone, eroe lasciato solo. Due solitudini che si riconoscono e si scelgono? 

«Nel mio libro Uccio e Falcone sono due personaggi simili, ecco perché si scelgono. Falcone incontra per strada Uccio, cane abbandonato, randagio e nei suoi occhi il giudice nota la solitudine dell’animale, che è lo specchio della propria solitudine. Si completano e si somigliano tantissimo. Gli ultimi anni della sua esistenza Falcone li ha vissuti in solitudine, come un eroe tragico che si trova a combattere da solo contro il destino. Furono sparsi molti veleni, invidie e maldicenze su di lui, per non parlare delle accuse, pensiamo quando venne addirittura accusato di aver organizzato lui stesso il fallito attentato all’Addaura avvenuto il 21 giugno 1989 nei pressi della villa che il magistrato aveva affittato per il periodo estivo, per godere di una certa fama».  

  • “Ma che cos’era questa mafia”, si domanda Uccio spettatore non solo dei più efferati delitti mafiosi, ma sotto il suo sguardo di cane intelligente passa il  Maxiprocesso, Tommaso Buscetta, il palazzo dei veleni alias la Procura di Palermo, ecc… Come è cambiata la mafia? 

«Uno dei miei libri preferiti è il saggio “Cose di Cosa Nostra” (BUR 2017) che raccoglie delle interviste a Giovanni Falcone fatte dalla giornalista francese Marcelle Padovani. In queste pagine il magistrato formula dei pensieri lucidi e coraggiosi. A un certo punto Falcone fa un’affermazione apparentemente paradossale, soprattutto se detta da un magistrato: “Facciamo molta attenzione quando la mafia non uccide più, quando non fa più rumore, perché questo avviene quando la contiguità tra mafia, colletti bianchi, politica e società civile è arrivata a uno stadio di massima coesione, avanzatissimo”. Quindi la mafia è più pericolosa quando non uccide più, quando diventa invisibile e non compie più stragi. È davanti agli occhi di tutti che la mafia è cambiata, ci avevano abituati ai delitti eccellenti degli anni Ottanta e Novanta, poi a un certo punto, dall’omicidio di don Pino Puglisi, la mafia ha imparato a cambiare gli strumenti e a fare meno rumore. È diventata più abile, più imprenditoriale». 

  • Realtà e fantasia, sono stati i due ingredienti di cui si è servito per raccontare la storia del giudice Falcone e indurre i lettori di tutte le età a riflettere sul valore del coraggio?

«Sì, la storia di Falcone resta sempre attuale, perché dà la possibilità di riflettere sul concetto di coraggio oggi. Ecco perché ho giocato con questi due ingredienti, realtà e fantasia, intrecciandoli. Ne è venuto fuori questo romanzo che mi auguro faccia riflettere sul concetto di coraggio. Insegno italiano in un liceo di Monza, spesso ai miei alunni racconto la storia delle parole, la loro etimologia. L’etimologia della parola coraggio è una delle più belle, viene dal latino “cor, cordis”, significa cuore. Quindi coraggioso è colui che metaforicamente espone il cuore a un pericolo certo. È l’esempio di Falcone».

  • La Fondazione Falcone si batte per un futuro senza mafie. Restano sempre vive nel nostro Paese l’eredità morale e professionale di Giovanni Falcone? 

«La Fondazione Falcone viene portata avanti da persone molto combattive, che hanno una grande passione, sono instancabili mantenendo viva la memoria del giudice Falcone. Sì, restano sempre vive nel nostro Paese l’eredità morale e professionale di Giovanni Falcone che è quella del coraggio. Un coraggio non solo speso lottando contro la mafia, ma anche il coraggio di scontrarsi con delle realtà quali la politica, la magistratura. L’esperienza etica che resta di Falcone è anche quella del sacrificio, le ultime interviste che il magistrato ha rilasciato sono molto belle, Falcone sapeva di avere il tempo contato eppure non si tirò mai indietro. Ce ne fossero di uomini così, ed è giusto raccontare agli alunni, che sono argilla viva, la vita di personaggi come Giovanni Falcone per insegnare alle giovani generazioni l’audacia e il coraggio di combattere contro la mafia e a volte contro lo Stato quando il sistema è stagnante». 

  • Il suo volume sarà presentato alla XXXIV edizione del Salone internazionale del Libro di Torino (19 – 23 maggio 2022) proprio il 23 maggio. Una scelta non casuale? 

«Sì ma anche un po’ sofferta, perché avrei voluto essere a Palermo il 23 maggio per essere presente alla manifestazione, che si tiene in questa data sotto l’albero di Falcone, un ficus macrophylla gigantesco in via Emanuele Notarbartolo 23, dove abitava il giudice. Nel tronco del ficus gli studenti vanno ad affiggere lettere e riflessioni. La manifestazione consiste nel leggere l’elenco dei nomi delle vittime di mafia, mentre la folla sta in silenzio, ed è un silenzio assordante. Quest’anno non potrò esserci, mi consola il fatto che sarò a Torino a parlare di Giovanni Falcone. Quindi lontano da Palermo fisicamente, ma con il cuore, no».