Sulle tracce di don Lorenzo Milani. Le scuole popolari a Bergamo

Avevano come metodo l’esperienza educativa di don Lorenzo Milani, l’intrepido prete fiorentino che negli anni Cinquanta-Sessanta aveva aperto una scuola popolare nello sperduto paese di Barbiana. Ma dovevano fare i conti con la cultura del «lavorismo».

È la realtà delle scuole popolari in terra bergamasca, in città e provincia, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, spesso attivate da parroci o curati per lavoratori giovani e adulti, sprovvisti di diploma di scuola media.

L’esperienza delle scuole popolari, uno spaccato di storia locale

La copertina del volume

Questo importante spaccato di storia locale, finora ben poco esplorato, ma che ha dato una spinta forte all’economia e alla presa di coscienza dei giovani, viene efficacemente ripercorso nel volume «L’esperienza delle scuole popolari a Bergamo. Conquistare la parola» (pp. 190), edito da Radici/Achille Grandi con Acli Bergamo. Ne è autrice la storica Barbara Curtarelli, che ha al suo attivo numerose pubblicazioni.

«Seduti sui banchi di doposcuola, di corsi estivi e serali — ricorda Daniele Rocchetti, presidente di Acli Bergamo nella prefazione — c’erano tutti coloro che avevano lasciato la scuola per ragioni principalmente economiche, dovendo contribuire al bilancio familiare e che, a tutte le età, avevano deciso di iscriversi a questi percorsi alternativi per conseguire la licenza media». Infatti, l’obbligo della scuola media in Italia, anche se assai disatteso agli inizi, venne introdotto con l’anno scolastico 1962-63, per cui larghissima parte di lavoratori giovani erano sprovvisti di questo diploma. Questa novità venne accolta con forte perplessità dalle famiglie del popolo, che ritenevano inutile lo studio, soprattutto per le figlie. Questa mentalità portava a pluribocciature nei giovani, che avevano come unica meta trovare presto un lavoro.

La cultura diffusa del “lavorismo” a Bergamo

Era la cultura del «lavorismo», secondo il termine ripreso dalla Curtarelli, ampiamente radicata nella Bergamasca. Perplessità venivano anche dalle alte sfere, convinte che fare studiare il popolo era un investimento inutile visto che lo sbocco era soltanto il lavoro. Ancora nel 1971, secondo i dati del censimento, il 76% della popolazione era sprovvista di licenza media.

Fonti della Curtarelli per il suo libro sono stati i documenti conservati di queste scuole popolari, anche se purtroppo molti andati perduti, e le testimonianze dei protagonisti, cioè gli alunni di allora e gli studenti universitari di allora che erano docenti nelle scuole popolari e spesso avevano un’età assai più giovane di chi era seduto nei banchi e ricevevano soltanto un piccolo compenso. Queste scuole permisero non soltanto di ottenere il diploma e un minimo di formazione culturale, ma anche di aiutare i frequentanti a superare la rassegnazione verso una vita di sfruttamento, esclusione e lavoro poco qualificato e scarsamente retribuito. 

A livello cittadino e provinciale, le scuole popolari — che scomparvero progressivamente negli anni Settanta con il mutare di mentalità e mezzi — raggiunsero quota 43, ma sicuramente saranno state in numero maggiore, metà delle quali nate in ambito parrocchiale e ospitate nei locali degli oratori. Erano frequentate da circa 2.700 alunni e circa trecento insegnanti. La prima nata in terra bergamasca fu quella di Treviglio nel 1968. La Curtarelli ripercorre la storia di quelle documentate, facendo emergere uno vero spaccato di realtà sociale, economica e culturale dell’Italia coeva, ma anche di ideali.