“La malattia di mio figlio mi ha fatto riscoprire la preghiera”. Suor Chiara: “Confida a Dio le tue paure”

Buongiorno suor Chiara, mi chiamo Amelia e le scrivo in cerca di conforto. Abbiamo appena scoperto che uno dei nostri figli ha una grave malattia. Non riesco ad accettare questa diagnosi. Continuo a chiedermi se è colpa nostra, se non siamo stati abbastanza attenti a salvaguardare la sua salute. Devo farmi forza davanti alle altre persone ma in fondo al cuore ho tanta paura che le terapie non funzionino. Come si convive con un pensiero come questo? Da tanto tempo mi sento lontana dalla fede ma comunque ora vorrei il conforto della preghiera. Il Signore mi ascolterà lo stesso? Vi ringrazio per il vostro ascolto. Un caro saluto.

Vorrei starti accanto in silenzio, cara Amelia, cercando di “sentire” in profondità la tua apprensione e quella dei tuoi cari, per condividerla e trasformarla in preghiera. Il tuo dolore è indescrivibile, la tua preoccupazione, il tuo sconforto sono pesanti come macigni. Come accettare quanto sta accadendo? Diagnosi simili a quella che tu hai ricevuto sono come fulmini a ciel sereno, che lasciano impauriti e smarriti; abbiamo bisogno di tempo, di silenzio e di confronto per prendere consapevolezza di ciò che ci sta accadendo e tentare, nella fede, di attraversarlo.

Ti invito a non vergognarti dei sentimenti che provi nel cuore: sono umani e molto comprensibili; la malattia grave spaventa, destabilizza perché ci rivela nostra più grande fragilità e ci catapulta in un’altra dimensione; non dare, però, spazio al senso di colpa poiché ciò è dannoso e infruttuoso!

Tu dici che ti senti lontana dalla fede, ma ora desideri il conforto della preghiera. È grande quanto affermi! Stai, infatti, manifestando di credere che, nell’abisso del dolore, solo il Signore ha un reale e potente accesso e che solo Lui è in grado di aprirti alla speranza e alla fiducia.

Parlare con Dio liberamente, confidandogli paure e speranze

Non pensare, però, che la tua preghiera, per essere accolta, debba essere precisa, studiata a tavolino, come – a rigor di logica – converrebbe a Dio. No! Urla pure a Lui il tuo dolore, raccontagli la tua paura, parlargli di tuo figlio, del tuo smarrimento, chiedigli luce per poter intravvedere i piccoli passi possibili da compiere giorno per giorno. Litiga pure con Lui, chiedigli spiegazioni, raccontagli la tua vita e quella della tua famiglia. E sperimenterai che Egli ti ascolterà e a suo tempo risponderà.

Pensa a Giobbe e a tutti i grandi uomini che, nella prova, non hanno avuto timore di obiettare davanti a Dio, di chiedere chiarimenti, manifestandogli con sincerità i propri stati d’animo per situazioni difficilissime da accettare e da attraversare!

Anche i santi lo hanno sperimentato. Come non ricordare gli ormai conosciuti 25 interminabili minuti della beata Chiara Luce Badano che, rientrata a casa dall’ospedale, si è chiusa in un assorto silenzio: mezz’ora di lotta interiore, di buio, di passione, per poi non tirarsi indietro mai più.

Nella prova è necessario il conforto della fede e di persone care

Ti è necessario il conforto della fede, il silenzio, la preghiera, la vicinanza di persone care che ti possano far sentire la loro presenza e la loro competenza: saranno proprio questi “ingredienti” che aiuteranno te e la tua famiglia ad accogliere questa fase dolorosa della vita non come un incidente di percorso, ma come un momento di grazia e come un’opportunità per crescere in umanità e nella fede. Sì, cara Amelia, nella fede! 

Affidati al Signore, povero e crocifisso, che sulla croce ha sperimentato realmente la violenza del dolore fisico, psicologico e spirituale. Guardalo sulla croce, fra atroci dolori e spasmi, e chiedi a Lui la grazia di dire, come Maria ai piedi della croce, il tuo piccolo e timoroso “Sì”!

E sentici vicine… con le mie sorelle, ti assicuro il ricordo nella preghiera.