I preti della fraternità 2 della Comunità ecclesiale 5 Sebino Val Calepio, punto di riferimento per la comunità

Uomini di Dio in mezzo alla gente, come funamboli in equilibrio tra terra e cielo, sempre di corsa, alle prese con mille impegni concreti. Così è la vita dei sacerdoti di oggi, come emerge dai racconti dei preti della fraternità 2 della Comunità ecclesiale (Cet) 5 Sebino Val Calepio, che nei giorni scorsi hanno incontrato il vescovo Francesco Beschi nella casa parrocchiale di Paratico, nel corso del suo pellegrinaggio pastorale. 

Da questo dialogo emerge una riflessione ad ampio raggio sulla situazione e le prospettive della vita sacerdotale: “Non ci serve molto sapere come “fare” il prete – ha chiarito don Alessandro Gipponi, moderatore della fraternità – ma riscoprire il nostro “essere” preti, da discepoli, da umani”.

Una “fraternità” crea un legame fra i preti che svolgono il loro servizio pastorale in territori contigui, giovani e anziani, offrendo occasioni di scambio, confronto e aiuto reciproco. Nella Fraternità 2 della Cet 5 ci sono venti sacerdoti all’opera in 11 parrocchie, dalle più piccole come Parzanica, 300 anime, e Vigolo 500, fino a Sarnico che ha circa 6.500 abitanti. Le due comunità di Villongo, Sant’Alessandro e San Filastro, formano un’unità pastorale.

Potremmo dire che i compiti dei sacerdoti sono sempre gli stessi, eppure completamente diversi rispetto al passato, perché è cambiata la società in cui operano: “Corriamo di più – ha spiegato don Gipponi, parroco di Predore – dobbiamo occuparci di tante incombenze diverse, forse trascorriamo meno tempo in chiesa rispetto al passato. Portiamo il Vangelo nella società di oggi, in un momento in cui la fede non si può più dare per scontata. Restiamo comunque un punto di riferimento importante per la gente. La nostra vita è fatta di gioia e slanci ma anche di stanchezza, di prove personali e comunitarie”.

Fra l’immagine ideale del prete tracciata da Papa Francesco, come “uomo di misericordia e compassione, uomo del dono e del perdono, apostolo della gioia”, assunta dalla fraternità come punto di partenza per riflettere, e quella della realtà di tutti i giorni, segnata anche da crisi, sfinimento e abbandoni, ci sono però tante sfumature, tante conquiste e una buona dose di bellezza, fatta anche di avvenimenti semplici come un incontro, un abbraccio, una parola accogliente pronunciata al momento giusto.

“Le fatiche che viviamo – ha sottolineato don Vittorio Rota, prevosto di Sarnico – ci permettono di comprendere meglio quelle delle famiglie che incontriamo e di entrare in empatia con loro”. In un momento di grave crisi, sentendo crescere le situazioni di difficoltà nelle comunità “ci sentiamo ancora più spronati a metterci in gioco” come afferma don Lucio Donghi, parroco di Adrara San Rocco. Nel rapporto con i laici, risulta sempre più importante “imparare a delegare sempre, non solo in caso di emergenza”, come chiarisce don Tarcisio Troiani, parroco di Paratico, alle prese con l’impegnativa costruzione del nuovo oratorio.

Fra gli aspetti più importanti, richiamati da diversi sacerdoti, c’è la necessità di uscire il più possibile dalle sagrestie: “Usiamo la maggior parte del nostro tempo a coltivare la fede in chi c’è l’ha già – ha detto don Gipponi – ma a volte sembra che abbiamo perso la capacità di narrazione e comunicazione del Vangelo a chi non crede”.

Don Virgilio Balducchi, collaboratore pastorale a Tavernola, con una lunga esperienza come cappellano del carcere, ha ricordato l’importanza dell’incontro personale e della vicinanza, in particolare ai più fragili: “Di fronte alle difficoltà accade che le famiglie si dividano, mentre una comunità sana può ritrovarsi più unita”.

Il vescovo ha ascoltato con attenzione e partecipazione gli interventi dei preti della fraternità: “C’è una grande ricchezza nelle vostre esperienze – ha commentato – che non sono teoriche ma affondano nella vostra vita quotidiana, ed esprimono la passione di vivere il Vangelo in mezzo alla gente. Sono racconti densi e pieni di emozione ed esprimono come la presenza del prete e il modo in cui si declina nelle comunità non possano mai essere date per scontate. Il pellegrinaggio alimenta il rapporto tra il vescovo e i sacerdoti ma anche la nostra missione, che è la nostra vita. Fare il prete, infatti, non è un lavoro, per noi la vita coincide con la nostra missione”.