La morte di Pacì Paciana e la leggenda che si narra

Nel 1806, a seguito di tante malefatte, sulla testa di Vincenzo Pacchiana venne posta una taglia di cento zecchini da vivo e sessanta da morto. Per effetto di questa disposizione le ricerche del Pacchiana si intensificarono e culminarono in vari conflitti a fuoco, durante uno dei quali il bandito uccise, a colpi di fucile, due guardie.

A questo punto la polizia, dimostratasi ripetutamente incapace di catturare il bandito con le proprie forze, riuscì ad eliminarlo con l’inganno: si accordò con un compare del Pacchiana, promettendogli la taglia.

Costui non esitò ad uccidere il Pacchiana nel sonno, con un colpo di trombone, nei pressi di Gravedona, nel Comasco nella notte tra il 5 e il 6 agosto 1806.

La testa del “padrone della Valle Brembana” che “rubava ai ricchi per dare ai poveri” venne portata a Bergamo ed esposta sugli spalti della Fara.

Anche sulla morte del bandito è fiorita la leggenda.

Pacì Paciana era ormai diventato un personaggio famoso anche fuori della sua valle e la gente si rivolgeva sempre più spesso a lui per ottenere quell’aiuto e quella giustizia che non poteva avere dall’autorità costituita.

Ma anche per lui la vita cominciava ad essere dura, sia per la caccia spietata che gli davano i gendarmi e sia per la grossa taglia che era stata messa sul suo capo da parte dei signori, alleati con i governanti.

La taglia, unita alla promessa del perdono per quei malfattori che avessero contribuito a catturarlo, attirò in Valle Brembana avventurieri della peggior specie, il cui unico scopo era di consegnare Pacì Paciana alla giustizia, vivo o morto.

Una volta venne addirittura catturato da due di questi e fu lui che dovette pagar loro la taglia per riottenere la libertà.

A ciò si aggiunge la brutta avventura che gli capitò mentre era sul monte tra Endenna e Grumello: mentre stava riposando sotto un albero, venne morso ad una gamba da una vipera che rischiò di farlo morire.

Per fortuna era con lui il fido compagno Nicola che prontamente gli fasciò la gamba e fece un taglio sopra il morso col suo coltello, quindi succhiò il sangue infetto e condusse l’amico fino a Grumello, badando a che non si addormentasse.

Pacì Paciana scampò alla morte, ma rimase in non buone condizioni, al punto che si sentiva sempre stanco e spesso si addormentava dovunque si trovasse.

Per sentirsi più al sicuro decise allora di lasciare per un po’ la sua valle e rifugiarsi in Svizzera presso degli amici contrabbandieri, dove avrebbe potuto ristabilirsi grazie anche alle cure di un medico fidato del posto.

Ma la notizia della sua partenza arrivò alle orecchie di un brigante, Carcino Carciofo, di origini meridionali, latitante in Valle Seriana.

Costui lo seguì e lo raggiunse a Gravedona, sul lago di Como, dichiarandosi suo amico.

Ma poi lo uccise a tradimento mentre dormiva; gli tagliò la testa e la portò alle guardie di Bergamo che la esposero sulle mura.

Alla notizia della sua morte i signori tirarono un sospiro di sollievo e, mentre tra la gente qualcuno piangeva, altri alzavano le spalle; tra questi c’erano alcuni di quelli che erano stati aiutati da lui.

Nel disegno un ritratto di Pacì Paciana