Tenere le porte aperte: solo così si può riaccendere l’umanesimo europeo

Leggendo il nuovo volume del giornalista e scrittore Mario Marazziti “La grande occasione” (Piemme 2023,  pp. 368, 19,90 euro), viene in mente la figura di Altiero Spinelli, uno degli autori del Manifesto di Ventotene, uno dei primi documenti a sostegno della creazione di un’Europa unita e di una costituzione europea. 

La copertina del volume

L’autore, per anni editorialista del Corriere della Sera, Avvenire, Famiglia Cristiana, Huffington Post e portavoce della Comunità di Sant’Egidio, nelle pagine del libro, compie attraverso Germania, Francia, Belgio, Italia, Spagna e Andorra un “Viaggio nell’Europa che non ha paura”, come recita il sottotitolo del libro dedicato “Ai nostri figli e nipoti. Ai nuovi europei”.

Il testo esorta noi cittadini europei a non aver paura lasciando aperte le porte della casa e della mente, per ritrovare le radici, la propria storia e quella dei luoghi. In tal modo si valorizzano la cultura e le risorse umane esistenti ma inutilizzate, rinasce, non appassisce, l’umanesimo europeo. 

Abbiamo intervistato Mario Marazziti, nato a Roma nel 1952, Presidente del Comitato per i Diritti Umani e della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018, è stato promotore e primo firmatario della legge di cittadinanza per i bambini immigrati (ius soli e ius culturae) e ha portato a termine, tra l’altro, la riforma delle professioni sanitarie, la legge di sostegno ai disabili gravi “Dopo di noi”, e quella sul recupero degli sprechi alimentari. È cofondatore della Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte. 

  • Dottor Marazziti, il viaggio nel libro ha inizio citando un certo Fridtjof. Chi era? 

«Il nome per noi è sconosciuto ma è stato uno straordinario esploratore, scienziato e politico norvegese, Premio Nobel per la pace nel 1922, riconoscimento conferitogli per la sua attività come Alto Commissario per i Rifugiati della Società delle Nazioni. Fridtjof Nansen (1861-1930) ha creato un percorso per i rifugiati, per i profughi e per i senza terra dopo la I Guerra Mondiale quando sono cambiati i confini del mondo e milioni di persone sono diventate niente. Fridtjof ha inventato un passaporto, il Passaporto Nansen, che dava dignità, nome e nuova vita. È l’origine di una identità necessaria a ognuno, e di come le frontiere e i muri possono distruggere le persone e renderle nulla. Nel libro scrivo che una società è più sicura senza muri, una società può reggersi senza muri quando le porte si aprono, perché lo dobbiamo a noi stessi. È quello che accade nel libro».

  • Nel volume ricorda l’incontro con i sopravvissuti della tragedia di Lampedusa, il naufragio di un’imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti avvenuto il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa. A distanza di quasi dieci anni, cos’è cambiato da allora? 

«È cambiato il pensiero e il sentimento della gente, perché progressivamente è aumentata la predicazione delle frontiere, quella che dice: “Sono nemici” o “Prima noi, dopo gli altri”. Tutto ciò impedisce di vedere il volto umano dell’altro. A Lampedusa ci fu un’emozione gigantesca, era inaccettabile che si potesse morire così. Dopo questa tragedia ci fu l’operazione “Mare Nostrum”, cioè l’Italia salvava le persone che rischiavano di morire in mare solo perché fuggivano da guerre o da oppressioni. Oggi è dato per normale che non si deve salvare e che si possono creare difficoltà a chi cerca di salvare. Questo sta togliendo l’anima a noi stessi. Una parte della popolazione in Italia e in Europa si è indurita a causa della politica, perché una parte della politica utilizza questo argomento per creare paura e generare diffidenza. Il viaggio che c’è nel libro mostra che al contrario anche laddove si dice: “Non vogliamo un profugo in più”, quando alcuni si mettono insieme e costruiscono l’accoglienza, l’accompagnamento, si riscopre tutti le proprie radici, che sono anche radici di solidarietà. Si riscopre il volto dell’altro e si è tutti più felici. La nostra società ha infatti un problema di infelicità e scarica su altri come se fossero nemici, quel pezzetto che gli manca. Noi dobbiamo aiutare la nostra società a ritrovare un cuore, senza essere buonisti. Non possiamo pensare che sia normale morire in mare dopo viaggi terribili, parliamo di bambini, donne, giovani e che questo sia l’unico modo se nasci nel posto sbagliato. “Devono tornare a casa loro”, dice quella parte di italiani che non vogliono accogliere i rifugiati. Ma la loro casa non c’è più. In Siria c’è una guerra da 12 anni, per non parlare del recente terrificante terremoto, 10 milioni si siriani non stanno più dove vivevano. Mezzo milione sono ormai le vittime. A causa dell’embargo, è mancata perfino la benzina per far funzionare le escavatrici per salvare la gente rimasta sepolta sotto le macerie. “Devono restare a casa loro”. Ma non si fanno viaggi di due anni se si può evitarlo, con il rischio di perdere la vita. Come è stato il caso di tutte le vittime di Lampedusa, erano partiti due anni prima dall’Eritrea, un lungo viaggio attraverso il deserto libico, sempre in mano ai trafficanti, pagando 2000 dollari per arrivare lì per poi morire dentro il Mediterraneo. Non si accettano questi rischi se non c’è una spinta immensa. E la spinta immensa è che non si può vivere così, senza speranza e senza futuro». 

  • Rinascerà l’“umanesimo europeo”? 

«Le Chiese e i cristiani aiutano l’Europa a conservare un’anima. L’Europa non è solo un mercato, quello che manca ancora è un’Europa spirituale. Tante comunità della Chiesa cattolica sono in difficoltà. Però lì c’è una grande riserva di umanità, che può aiutare l’intero umanesimo europeo a rinascere».

  • Il viaggio che descrive passa anche per l’accoglienza nata attorno ai Corridoi umanitari promossi dalle Comunità di Sant’Egidio europee assieme alle comunità locali e alle Chiese. Ce ne vuole parlare? 

«Il libro è un viaggio in Italia e in Europa, dove si scopre come le comunità, la società civile rinasce mentre costruisce vie umane per l’integrazione dei richiedenti asilo, dei profughi. L’integrazione ha bisogno della società civile. C’è un secondo canale, rispetto ai centri di accoglienza e al sistema normale, quello inventato dai Corridoi umanitari, attraverso il meccanismo della “sponsorship” , di comunità, di gruppi, famiglie, associazioni. In questo modo la società civile mette a disposizione le proprie risorse, soprattutto umane. C’è una quantità di persone che hanno capacità, tempo, voglia, che io scopro dentro questo viaggio. In questo modo l’accompagnamento è più personalizzato e l’integrazione avviene davvero. In questo modo i nuovi arrivati danno subito un contributo al Paese. Saranno i nuovi italiani. Il mio libro contiene un segreto di felicità per l’intera società. Quindi una “grande occasione” ma bisogna resistere alla predicazione della paura, perché non ha fondamento». 

  • Secondo Lei gli italiani hanno uno spirito europeista? 

«Gli italiani sono un popolo profondamente europeista, ma non si può tutti i giorni essere bombardati da una narrazione che accusa l’Europa di tutti i nostri problemi. L’Italia e l’Europa hanno un bisogno gigantesco di queste persone, non solo dal punto di vista economico. Sono dieci anni che il bilancio italiano sarebbe molto più in deficit se non ci fosse il contributo degli immigrati regolari, che vivono in Italia. Immigrati e profughi, aiutati a diventare italiani, accompagnati in maniera familiare e personalizzata, come avviene nei Corridoi umanitari, salvano non solo il nostro Paese, ma anche la nostra italianità, le nostre radici, le tradizione locali, per esempio contribuendo a non spopolare i nostri borghi, i nostri paesi, evitando di perdere la nostra memoria». 

  • A che punto siamo con la legge di cittadinanza per i bambini immigrati e per quale motivo il disegno di legge fa tanta paura? 

«Da molti anni ci sono in tanti Paesi europei e quindi anche nel nostro, delle forze politiche sovraniste, in Italia hanno vinto le ultime elezioni, che sono cresciute raccontando ai propri cittadini che si sta meglio avendo degli immigrati come “nemici”, come se fossero dei concorrenti. Questa predicazione è sbagliata, ma è difficile in questo momento convincere tanti italiani, francesi, svedesi e così via. La legge di cittadinanza per i bambini figli di immigrati, che nascono e studiano in Italia, lo ius soli temperato, la mia legge conteneva già lo ius culturae, cioè si diventa italiani attraverso la scuola, la cultura, che poi è quello che è accaduto a ciascuno di noi. Solo con questo meccanismo si può facilitare l’integrazione. È un interesse nazionale che questi bambini, questi giovani siano italiani, non perché è un regalo, ma perché lo sono già. Invece viene loro negato, questo è contro l’interesse nazionale. Sono gli stessi bambini, che giocano con i nostri figli».