Il cardinale Zuppi a Mosca: comunicazione oltre le parole. La fatica di guardare negli occhi

Foto patriarcato di Mosca

l mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi. Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza.

“Nei giorni 28 – 30 corrente mese, S. Em.za il Card. Matteo Zuppi, Inviato del Santo Padre, ha effettuato una visita a Mosca finalizzata all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”.

Inizia con queste parole il comunicato stampa della Santa Sede pubblicato il 30 giugno.

Dopo aver elencato gli incontri avvenuti in tre giorni il breve testo così si conclude: “I risultati della visita saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”.

Nel linguaggio necessariamente stringato di un comunicato stampa c’è la conferma di un incessante impegno per la ricerca della pace.

Dietro le poche ed essenziali parole c’è un volto.  Ai tratti di fraternità di quel volto la cronaca proponeva negli stessi giorni i tratti dell’odio dei volti degli uomini delle armi e del potere.

Il mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi. Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza.  Ha guardato dritto negli occhi i suoi interlocutori e si è lasciato guardare nei propri.

Quella degli occhi è stata una comunicazione che ha rafforzato una richiesta e una disponibilità al dialogo.

Il card. Zuppi ha percorso la strada dello sguardo come un insistente bussare alla porta della coscienza di chi, dicendosi cristiano, sceglie e giustifica la guerra.

Anche ai media, alcuni dei quali hanno trovato dedicato solo un piccolo spazio per documentare la visita del cardinale a Mosca, va l’appello a fare uso di vocabolari dove ancora ci sia la parola pace.

Usare vocabolari dove ancora ci sia la parola pace

C’è chi ci sta pensando.  L’opinionista Salvatore Settis così scrive il 1° luglio su un quotidiano nazionale: “Se il Papa invita in ogni modo le parti in guerra al dialogo e al negoziato in nome del Vangelo ma anche di una laica concezione della diplomazia, perché queste sue calorose invocazioni vengono talora scambiate per posizioni filorusse o perfino ignorate o marginalizzate dai media? Perché la minaccia delle armi atomiche, che tanto angoscia questo pontefice venuto da lontano non spaventa altrettanto tutti noi?”.

Perché sia all’ovest che all’est dell’Europa ci sono cristiani che vedono nella visita a Mosca come in quella a Kiev un segno di impotenza e non la forza disarmata e disarmante della preghiera? Perché non ricordano le parole di papa Wojtyla che il 12 gennaio 1994 nel chiedere la pace in Bosnia Erzegovina disse che la preghiera costituisce la forza più potente della storia umana”Perché non accorgersi che la preghiera illuminava gli occhi di un cardinale che nel nome di Francesco tornava a chiedere pace?

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