L’insegnamento della religione, una scelta per allargare gli orizzonti

A 40 anni dal Nuovo Concordato, la tenuta dell’Irc è forte, dimostrata dagli ultimi numeri diffusi proprio dalla Cei, che attestano una media nazionale di avvalentisi pari all’84,05%.

Come ogni volta, in occasione delle iscrizioni al prossimo anno scolastico, la presidenza della Conferenza episcopale italiana indirizza a studenti e famiglie un Messaggio sull’Insegnamento della religione cattolica (Irc).

Questo perché, proprio al momento dell’iscrizione, la normativa prevede l’esercizio di scelta se avvalersi o meno di tale insegnamento che – spiegano i vescovi – è “una preziosa opportunità formativa, che arricchisce il percorso scolastico promuovendo la conoscenza delle radici e dei valori cristiani della cultura italiana”.

In effetti è così. Secondo la normativa neoconcordataria l’Irc è inserito nella scuola per permettere che la stessa raggiunga le proprie finalità di pieno sviluppo della personalità degli allievi, avendo a cuore la loro crescita personale e sociale.

L’Irc è nato con questa prospettiva: la collaborazione tra Stato e Chiesa per la promozione dell’uomo e il bene del Paese (lo ricorda l’articolo 1 del Nuovo Concordato del 1984) che si traduce anche nella messa a disposizione, da parte della Chiesa cattolica, di insegnanti competenti per una materia che valorizza la cultura religiosa e permette di conoscere i principi del cattolicesimo che “fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (è sempre il Nuovo Concordato).

Quando avvenne la riforma molti erano pronti a scommettere sulla breve durata dell’Irc, sottoposto alla possibilità di scelta se avvalersene o meno da parte di famiglie e studenti. Addirittura senza alternative di fatto, con la famigerata “ora del nulla” che si è fatta strada negli anni, fino alla possibilità di un’ora in meno di scuola nelle secondarie.

In realtà, a 40 anni dal Nuovo Concordato, la tenuta dell’Irc è forte, dimostrata dagli ultimi numeri diffusi proprio dalla Cei, che attestano  una media nazionale di avvalentisi pari all’84,05%.

Ci sono, certo, differenze anche significative tra ordini e gradi di scuola e tra Nord e Sud, tra città e periferie. Tuttavia la gran maggioranza di famiglie e alunni mostra di ritenere l’Irc un’occasione e un’opportunità di crescita, un insegnamento importante e apprezzato.

Certo l’Irc permette di conoscere e apprezzare principi, valori e storia che appartengono al nostro orizzonte culturale e spirituale. Lo fa con rispetto e in modo laico, senza chiedere ad alcuno scelte di fede. Lo fa attraverso insegnanti che sono normalmente preparati e competenti, in grado di instaurare relazioni positive con gli allievi, le famiglie, i colleghi. Così come i professionisti delle altre discipline.

Insegnanti stabili, molti entrati in ruolo con l’unico concorso all’inizio degli anni Duemila, altri in attesa del nuovo concorso per il quale è stata appena firmata un’Intesa tra Stato e Cei.

Un concorso ordinario per la copertura del 30% dei posti vacanti, mentre il restante 70% dei posti disponibili sarà coperto grazie a una procedura straordinaria, riservata ai docenti con almeno 36 mesi di servizio. Complessivamente si tratta di circa 6.400 insegnanti.

Un concorso atteso da tempo, che dà forza alla figura degli insegnanti di religione, sullo stesso piano dei colleghi di altre materie e di conseguenza ribadisce il valore dell’Irc. Valore che per la Chiesa ha un significato in più, mostrando di fatto la propria attitudine al servizio a tutti, nella scuola di tutti, per il bene di ciascuno.

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