25 aprile, festa della Liberazione. Stefano Garzaro: “Conoscere la storia per educare alla partecipazione”

La Festa della Liberazione, festa nazionale della Repubblica Italiana, cade ogni 25 aprile per commemorare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, la fine dell’occupazione nazista e la definitiva caduta del regime fascista. 

Un viaggio alla scoperta delle radici della nostra libertà è il volume “Per la libertà” (Piemme 2024, Prefazione di Michela Cella, Segretaria Nazionale ANPI, pp. 192, 14,50 euro) dell’autore di romanzi e racconti Stefano Garzaro. 

Alternando resoconti storici, approfondimenti tematici e racconti veri della vita dei giovani protagonisti della Resistenza, l’autore ripercorre un periodo cruciale della nostra Storia rievocando quei giorni, i protagonisti e le battaglie che permisero al nostro Paese il ritorno alla democrazia dopo vent’anni di dittatura fascista e cinque di guerra. 

Ne parliamo con Stefano Garzaro, nato a Torino, dove vive, che ha lavorato nell’editoria scolastica e ha pubblicato numerose ricerche di storia locale, tra cui quella sulla Borgata Lesna, messa in scena dal Teatro Bloom coinvolgendo la popolazione.

  • Com’era la vita di coloro che erano ragazzi prima e durante la guerra. Quali le loro difficoltà?

«Per i ragazzi e le ragazze quella era un’epoca difficile, perché c’era una guerra mondiale in corso, quindi fame, insicurezza, disperazione per il futuro quanto mai incerto. A tutto questo si aggiungeva una questione urgente: scegliere da che parte stare. I ragazzi che erano richiamati dal Bando Graziani, siamo dopo l’8 settembre ‘43, venivano richiamati nell’Esercito della Repubblica di Salò. Andarci o no? Era una scelta molto difficile. O andare in questo esercito repubblichino che compiva stragi e praticava l’ingiustizia, oppure raggiungere i partigiani in montagna. Ma quest’ultima opzione rappresentava una grande incognita per due motivi. Il primo, perché, soprattutto i ragazzi, erano stati educati nel rispetto della figura del Duce, quindi l’educazione, anche scolastica, premeva sulle loro scelte. Il secondo motivo era che non si sapeva dove si andava e cosa si andava a fare. Le bande partigiane non erano ancora ben formate, non avevano ancora una identità lineare. All’inizio la coscienza politica non era ben formata, si è formata piano, piano. Nelle bande partigiane c’erano i commissari politici, che erano quelli che costruivano un’educazione politica più precisa., insegnando quella che oggi chiamiamo Educazione civica. Ciò avveniva non solo nelle bande garibaldine, comuniste, ma nelle bande badogliane, in quelle democristiane».

  • Qual è stato il ruolo delle ragazze, delle donne e dei ragazzi nella lotta per la libertà? 

«Vorrei introdurre una nota polemica, il ruolo delle ragazze e delle donne è stato fondamentale, ma non è stato riconosciuto abbastanza, non solo allora, ma ancora oggi. Il ruolo delle ragazze e delle donne non fu soltanto un ruolo di appoggio, pensiamo alle staffette che portavano materiali di nascosto, che informavano i partigiani delle mosse dei tedeschi o dei fascisti. Il ruolo delle donne è stato quello di dare una sterzata a questa educazione maschilista, patriarcale, che dominava l’Italia. Pagando di persona, mi riferisco alle fucilazioni, le donne dovevano sfondare una mentalità retrograda. C’erano le malelingue, che non facevano nulla per contrastare il fascismo, dileggiavano in modo vile queste ragazze. Anche i partigiani più anziani abituati da sempre a questa mentalità, non capivano la scelta di queste ragazze. Fu proprio nelle bande che si cominciò a discutere un ruolo nuovo per la donna dell’Italia futura, una volta finita la guerra». 

  • Il 25 Aprile rappresenta uno spartiacque per la storia della democrazia del nostro Paese. Per quale motivo allora è considerato divisivo e ogni anno fioriscono una serie di polemiche? 

«Il 25 Aprile è considerato divisivo da chi vuole dividere, non da chi vuole unire. La canzone “Bella, ciao” non è divisiva, è la canzone di tutti. È la canzone della libertà, non è solo la canzone dei partigiani, è la canzone di chiunque ama la libertà. È divisivo chi non apprezza la lotta per la libertà. Oggi ci sono alcune forze politiche che vorrebbero cancellare il 25 Aprile, perché il fascismo non è morto il 25 Aprile. Quel giorno fu sconfitto. Ogni giorno bisogna tutelare la libertà, ogni giorno bisogna controllare che tutti abbiano accesso ai diritti fondamentali».

  • Le giovani generazioni conoscono i fatti legati alla Resistenza e personaggi quali Sandro Pertini, Paolo Emilio Taviani o Alcide De Gasperi? 

«Secondo me la Resistenza è sconosciuta ai giovani di oggi, così come non sono conosciute queste grandi figure che hanno costruito la Resistenza, che si stanno perdendo nella memoria. Oggi i partigiani più anziani hanno oltre novant’anni, ma stanno scomparendo uno dopo l’altro. A Torino Bruno Segre è morto pochi mesi fa, aveva 105 anni e una mente lucidissima. Dobbiamo recuperare questa memoria, ho scritto questo libro che è una storia della Resistenza fatta in modo originale. Ho cercato di dare un tono avventuroso a queste pagine. Lo strumento migliore per raccontare la Resistenza è raccontare storie, cercando di far arrivare i contenuti, narrare episodi di ragazzi e ragazze, che erano immersi nell’atmosfera di guerra». 

  • Nell’Italia di oggi, 79 anni dopo il 25 Aprile 1945, vi sono centinaia di migliaia di persone che condividono fake enormi e inesattezze sul fascismo. Che cosa ne pensa? 

«Una delle grandi battaglie da fare oggi è quella della pulizia delle informazioni. Il fascismo potrebbe tornare, non tanto attraverso i manganelli o l’olio di ricino, ma potrebbe tentare di infilarsi nella nostra società attraverso la non verità, attraverso le fake news nei social, creando miti e immergendoci nell’atmosfera dei complotti, dove niente è vero e tutto è relativo. Questo tipo di mentalità complottista deve essere combattuta con il dibattito, con la conoscenza dei fatti, con la distinzione tra ciò che è vero da ciò che è falso. È un lavoro che va fatto nelle scuole, abituando i ragazzi al senso critico». 

  • Raccontare la Resistenza oggi, quando gli ultimi testimoni stanno morendo, significa educare alla partecipazione, perché, come cantava Giorgio Gaber: “Libertà è partecipazione”?

«Sicuramente. Noi usciamo da alcuni decenni di frantumazione dei valori, dove il senso della comunità è scomparso. Dove Io è più forte di Noi. Siamo stati abituati, in questi ultimi tempi, a mettere Io davanti a ogni cosa. Abituati alla concorrenza fino all’ultimo respiro, alla conflittualità, all’egoismo. Invece dobbiamo cercare di ribaltare questa mentalità e tornare al Noi. Dobbiamo riprendere a parlarci e a ritrovarci in strada, discutendo di ciò che partecipiamo. Il senso della comunità nasce soprattutto dal dialogo e poi dal lavoro comune. Dal camminare tutti assieme con lo stesso passo, perché non c’è nessuno che sia disprezzato».