Qui Leopoli, accanto ai profughi. Quelle statue “impacchettate” nelle chiese per salvarle dalle bombe

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La chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Lviv, in Ucraina. Foto credit Giovanni Diffidenti - WeWorld

Il crocifisso della cattedrale di Leopoli è nascosto in un bunker fin dai primi giorni di guerra, per il timore che i bombardamenti che stanno radendo al suolo altre città presto arrivino anche qui, dove è rimasta ancora una parvenza di normalità.

Nei giorni scorsi abbiamo visto nei servizi degli inviati dei telegiornali i cittadini impegnati a proteggere le opere d’arte con teli e impalcature imbottite per impedire che questo centro antico e bellissimo, monumento dell’Unesco, possa essere completamente distrutto.

Un impegno commovente, di cui è testimonianza anche la foto di Giovanni Diffidenti che pubblichiamo nell’apertura del post, scattata nella chiesa greco-cattolica dei Santi Pietro e Paolo a Lviv. Le statue appaiono “impacchettate” e questa volta non è per realizzare un’opera d’arte contemporanea com’era nello stile di Christo, ma un tentativo estremo di proteggerle.

Diffidenti è un fotoreporter bergamasco che già in passato ha lavorato in zone di guerra, dall’Afghanistan al Sudan e al Congo, collaboratore di Associated Press, Reuters, and Agence France Press, Contrasto, Transterra Media, Grazia Neri, Lensmodern e da qualche tempo anche del nostro giornale.

Da una settimana è partito per l’Ucraina con un gruppo di WeWorld, organizzazione non governativa che opera in 25 Paesi del mondo per garantire i diritti di donne, bambine e bambini (info su weworld.it), con la guida di Stefano Piziali.

La spedizione di WeWorld fa tappa a Leopoli

Oggi si trova a Leopoli, dove l’abbiamo raggiunto al telefono: “La situazione qui è apparentemente calma anche se ogni tanto suona l’allarme antiaereo e bisogna rifugiarsi nel bunker”.

Questo è il messaggio audio che ci ha inviato poco dopo:

Per Giovanni e Stefano oggi è stato il primo allarme, perché nei giorni scorsi sono capitati più frequentemente di notte e loro alloggiano a breve distanza dalla città: “Non siamo riusciti a trovare un’altra sistemazione – spiega Giovanni – siamo in un hotel a quindici minuti di auto dal centro. C’è un flusso continuo di profughi in fuga da altre zone del Paese. Sono soprattutto donne e bambini, dato che gli uomini dai 18 ai 60 anni devono restare per combattere”.

Migliaia di persone in attesa: alla frontiera situazione drammatica

Il gruppo di WeWorld è partito da Bergamo in auto: “Siamo arrivati fino a Cracovia – prosegue Giovanni – dove ci siamo fermati per una notte. Siamo ripartiti il giorno dopo, abbiamo attraversato il confine senza dover affrontare una lunga attesa.

La situazione alla frontiera era drammatica. Solo in quel momento c’erano un migliaio di persone in attesa di attraversare la frontiera, a piedi, con pullman e camion. Gli venivano dati i primi aiuti: coperte, cibo, assistenza sanitaria”.

Una volta entrati in Ucraina hanno seguito il flusso incessante di profughi in cammino: “A Leopoli abbiamo visitato centri di transizione, un orfanotrofio, luoghi dove la gente si ferma per un giorno o due in attesa di spostarsi. Il mezzo più utilizzato è il treno”.

Accanto a donne e bambini anche nell’emergenza

WeWorld si è messa in viaggio per riprendere i contatti con i partner ucraini e stabilire alcune linee di condotta per le azioni future: “La Child fund Alliance – spiega Stefano Piziali, bergamasco, Head of Advocacy Policy Partnership & European Italian Programs per WeWorld – lavora in Ucraina dal 2004, ma fino ad ora gli interventi sono stati condotti in un contesto di sviluppo e solo nella zona orientale in situazioni di emergenza: la guerra ha sconvolto tutti i piani, anche gli operatori hanno dovuto lasciare le zone di guerra.

Ora stiamo valutando come sarà possibile procedere con programmi umanitari quando ci sarà una maggiore stabilità. Ci sono attualmente quasi tre milioni di persone che si sono già spostate nel resto dell’Europa Occidentale, altri due milioni di persone sfollate anche all’interno dell’Ucraina.

A scuola in tempo di guerra per “salvare” la normalità

Circa 500 mila si trovano attualmente nelle regioni di Leopoli e Lutz che stiamo visitando. Ora ci stiamo preoccupando di aiutare queste persone. Prima di tutto per concretizzare l’educazione d’emergenza, perché i bambini devono continuare a frequentare la scuola. È infatti un supporto preziosissimo per superare i traumi e stare con i coetanei.

Bisogna poi sostenere sia loro sia le famiglie dal punto di vista psicosociale, perché i traumi subiti sono tantissimi. Nel giro di pochi giorni queste persone hanno perso tutto: la casa, gli amici, i familiari. È necessario inoltre aiutare le persone che sono scappate con un supporto economico.

Chi aveva un reddito basso e un disagio socio-economico, infatti, magari per la presenza di persone anziane, malate, con disabilità si trova ancora più esposto. Occorre aiuto concreto per integrare la solidarietà ucraina che è comunque eccezionale. Qui a Leopoli i negozi sono aperti, le attività continuano, nonostante la presenza importante di sfollati e la situazione complessa dei centri di smistamento e di transito. La nostra missione si sta avviando alla conclusione, tra pochi giorni torneremo in Italia. Lo staff locale inizierà le attività in coordinamento con le Nazioni Unite e l’Unione Europea”.

Foto credit Giovanni Diffidenti – WeWorld