I pianti al saluto del vecchio parroco che cambia parrocchia

Domenica scorsa, il nostro parroco ci ha salutato. Una marea di pianti, lui e molti di noi. Tu che vivi nel monastero, costantemente “distaccata” dal mondo, come giudichi questa mestizia nella piccola separazione, in fondo molto meno impegnativa della tua. Letizia.

Cara Letizia, in alcune parrocchie si vivono giorni di cambiamento: partenze e arrivi scombussolano equilibri consolidati negli anni. Si respira un clima di “mestizia” come tu lo definisci, per la separazione dal proprio pastore, per l’incertezza del futuro che porta in sé l’arrivo di un nuovo parroco.

Ogni prete ha il suo “colore”

Ogni sacerdote porta, alla vita della comunità, il proprio “colore”, uno stile unico che lo contraddistingue, come unica è ogni persona. Il tempo favorisce la creazione di legami, di sintonie, di forme di collaborazione e confronto, di esperienze condivise che umanizzano e arricchiscono l’esperienza della fede e dell’impegno a servizio della comunità e del Regno di Dio.

In questa ricchezza si inserisce il legame tra pastore e fedeli, declinato in una frequentazione e collaborazione che  favoriscono la crescita di relazioni ospitali e arricchenti. Come stupirsi allora di quella tristezza che avvolge le persone che vedono il proprio “don” riprendere il largo verso un mare sconosciuto,  una comunità nuova? Non si può rimanere impassibili o indifferenti di fronte a questo distacco!  Sono sempre passaggi delicati: si vorrebbe che i legami significativi avessero il sapore dell’eterno e non i tratti della finitudine. E’ un evento a volte sofferto, necessario, da attraversare, nell’ accoglienza del vibrare dei diversi sentimenti  che abitano il cuore per riconoscere con gratitudine il dono del proprio pastore e  l’affetto e la stima nei suoi confronti. Ma è anche chiamata a lasciare che il sacerdote possa vivere in pienezza e senza rimpianti, la propria vocazione all’itineranza, passando, come Gesù, di luogo in luogo ad annunciare il Vangelo.

Un’occasione per maturare. Farsi da parte, come il Battista

Le relazioni possono continuare anche in una lontananza, dentro una libertà che si fa custodia della vocazione dell’altro. I distacchi e i cambiamenti diventano anche la verifica dell’autenticità della sequela dei fedeli, della loro crescita e maturazione di identità umane e cristiane affidabili e coerenti, che non mutano la loro appartenenza e il loro impegno nella comunità in relazione alla simpatia o all’ affinità del  pastore che li guida. Essi continuano a vivere con responsabilità la loro vocazione battesimale dentro il tessuto concreto della comunità nella quale vivono. La positiva seminagione di un pastore si valuta in questi passaggi, quando un prete, pur con sofferenza, sa mettersi da parte per lasciare posto a un suo confratello. È la  pedagogia del Battista, icona sapiente da contemplare, perché testimoni che solo Dio è il bene, la sua unica ricchezza, e il Vangelo la sua passione da portare in ogni luogo.

Certo, porterà nella nuova comunità volti amati, percorsi condivisi, ma anche la consolante certezza di aver orientato al Signore dei fratelli, e non averli attirati e trattenuti a sé. E se ciò non avvenisse, il distacco potrebbe essere definitivo, per non illudere le persone, e permettere loro di continuare a servire il Signore nella nuova situazione: questo è il bene che il pastore è chiamato a fare ai fratelli! E per lui, il dono più grande di un’amicizia è una  preghiera incessante che lo accompagni nel servire la nuova comunità, come pastore che si dona incondizionatamente, secondo il cuore di Dio.