Il bacio di Dio

Ero anch’io al funerale di don Sergio. Una fiumana di gente, un numero impressionante di preti, tantissimi giovani. Molti di loro in pianto dirotto, quasi tutti con gli occhi lucidi. Ho osservato più volte l’assemblea: uomini e donne, alcuni volti noti, la gran parte sconosciuti, anziani e ragazzi, famiglie intere. Un abbraccio di popolo che fa impressione, raro da vedersi. Durato tre giorni. La sera prima della morte, avvenuta la notte tra mercoledi e giovedi, la veglia in una chiesa stipata all’inverosimile e poi, appena partito il tamtam della morte, una fila interminabile in chiesa maggiore a pregare davanti alla bara aperta. Una liturgia pasquale, sobria, essenziale, di quelle che gli sarebbero piaciute e che tante volte ha celebrato lui stesso. Una “lettera”di Franco Pizzolato e un testamento di un uomo e di un cristiano che ha amato con passione la vita e il suo Signore. La sera del funerale, uno struggente e magnifico saluto dei ragazzi di Redona (guardate il video su Youtube). Nessuno dica che tutto questo è dovuto solo ai molti anni di insegnante prima e di parroco dopo. Altri hanno avuto la sua stessa sorte eppure altra è stata la fine e il ricordo.

UN DIALOGO PROFONDO

Mentre guardavo con il cuore grato a tutto questo, mi sovveniva un altro funerale, avvenuto più o meno lo stesso periodo lo scorso anno. Quello del cardinal Martini. Anche in quel caso, un numero impressionante di persone, credenti e non credenti, cristiani e non, a rendere un silenzio e riconoscente omaggio al pastore della chiesa ambrosiana. Mi veniva da pensare che ogni volta un cristiano prende sul serio la vicenda umana, con le sue domande e i suoi problemi e intreccia un dialogo profondo, fatto di rispetto e di ascolto, diventa un riferimento per tanti nella città di tutti. Cercare di comprendere, non nascondersi mai di fronte ai problemi, lanciare ponti senza rinunciare alla fedeltà ai propri valori, custodire la tenerezza come chiave di accoglienza dell’uomo del nostro tempo: questa è un’eredità di cui dovrebbe farsi carico la chiesa di Bergamo. Per rendere onore non a don Sergio ma al Dio di Gesù Cristo. Perché cosi piacerebbe a noi vivere la fede cristiana e piacerebbe vedere i credenti. Donne e uomini che, nella logica dell’incarnazione, la vera “differenza cristiana”, non si sottraggono dal dibattito pubblico, tengono aperte le domande, custodiscono con passione e competenza l’umano in tutte le sue complesse sfaccettature, mostrano “le ragioni della fede” senza complessi e senza superiorità, cercano incessantemente. La fede, in fondo, non è un possesso definitivo, non è una certezza acquisita una volta per tutte: essa partecipa dell’insicurezza che caratterizza la libertà della persona e per questo nel cuore di ogni credente c’è una certa simultaneità di fede e di incredulità, come ci testimonia anche il Vangelo di Marco a proposito del padre del bambino epilettico che si rivolge a Gesù in questi termini: «Credo, aiutami nella mia incredulità!» (Mc 9, 24). Il dubbio fa parte del credere, quindi la precarietà, l’incertezza fa parte della fede: ogni giorno la fede si rinnova vincendo il dubbio, accettando di non sapere, decidendo di acconsentire liberamente a una promessa, vivendo come pellegrini mai residenti, sentendosi non soli ma insieme ad altri, come in una carovana.

“Dio è un bacio”, amava ripetere padre Benedetto Calati, il priore generale camaldolese morto nel 2000. Un’affermazione che ho ritrovato un paio di mesi a Romena, nel Casentino, in una preghiera di don Gigi Verdi, il fondatore della fraternità: “Dio è un bacio di luce sulle mie lacrime, fuoco sui miei sorrisi, miele sulle mie amarezze, fiato alla mia voglia di libertà. Dio che è un bacio che prepara alla lotta, come una strada apre il mio sorriso”.

Per tantissimi, don Sergio Colombo è stato veramente il bacio di Dio.