Il “Disastro”

L’1 dicembre era il 90° anniversario del crollo della diga del Gleno avvenuto nel 1923 con circa 500 vittime. Quell’evento in Val di Scalve e in Val Camonica, zona di Darfo, è chiamato semplicemente IL DISASTRO. Pubblichiamo l’omelia tenuta, in quell’occasione a Dezzo, dal nostro collaboratore. 

Di quell’evento state fatte diverse letture: storica, socio-politica, economica, culturale… Qui nella chiesa del Dezzo (il paese che ebbe il più gran numero di vittime) cerchiamo ora di fare la lettura religiosa. Ci facciamo aiutare dal Signore stesso che è qui presente con la sua Parola che è luce e con il suo Pane che è vita.

Il Sindaco di Azzone ieri nel suo discorso commemorativo ha affermato con forza che il Disastro non è stato un evento fatale. Io aggiungo oggi che il Disastro è stato un evento apocalittico. (Per i giornalisti questo è l’aggettivo più abusato per definire eventi sommamente tragici. Nella Bibbia invece l’aggettivo apocalittico significa tragico, ma rivelatore). Il Disastro non è stato opera del fato, del destino, o di Dio, ma è stato un evento rivelatore e perciò saggezza vuole che cerchiamo di scoprire che cosa ci rivela.

DIO IMPUTATO?

Qualcuno obbietterà: «Perché mai Dio non c’entrerebbe? Non è forse vero che non cade foglia che Dio non voglia»? Questo, cari amici, non è assolutamente un proverbio cristiano. Se questo proverbio fosse vero, sul banco degli imputati nel processo dopo il Disastro non dovevano esserci l’industriale Virgilio Viganò e il progettista ing. G. Battista Santangelo, ma doveva esserci Dio.

Invece, riflettiamo un po’. Dopo la creazione Dio dà agli uomini due responsabilità: «Dominate… e custodite la terra». Ma, come sappiamo, l’uomo fin dalle origini cerca di sostituirsi a Dio. Il peccato originale, cari amici, non è un peccato di frutta, ma è il tentativo suicida di sfruttare egoisticamente la sapienza di Dio che, come un albero da frutto (l’albero della conoscenza del bene e del male), è piantato «in mezzo al giardino» del mondo. Dominio egoistico fino alla tirannia e custodia quanto meno negligente del creato son due aspetti costanti del peccato originale lungo i millenni.

L’uomo, quello che costruirà nei secoli, lo costruirà spesso senza Dio e a volte contro Dio. Un esempio classico nella Bibbia, la costruzione della Torre di Babele: la città edificata in sfida a Dio.

Il salmo 127 bollerà fortemente ogni comportamento sconsiderato di questo genere: «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori».

Mi par di sentire a questo punto qualcuno che dirà: «Quindi il Disastro è stato un castigo di Dio!». In verità, frasi di questo genere sono state dette allora e in seguito, anche da persone autorevoli.

Ma anche qui ci illumina la Parola di Dio. Ricordate quando nel vangelo di Giovanni, al capitolo 9, vien presentato a Gesù il cieco dalla nascita? Qualcuno chiede al Signore: «Questo qui è cieco perché ha peccato lui o i suoi genitori?». Gesù risponde: «Né lui, né i suoi genitori, ma è così perché si manifesti la gloria di Dio». E quando nel vangelo di Luca, al capitolo 13, parlarono a Gesù del crollo della Torre di Siloe a Gerusalemme che aveva causato 18 morti, il Signore risponde: «Credete che quei 18 poveretti fossero più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? Per niente. Ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo».

COSTRUIRE IN MODO DIVERSO

Quindi questo evento apocalittico, cioè rivelatore, ha in sé un forte richiamo alla conversione.

In che senso? Il Vangelo che abbiamo appena letto in questa Messa dice: «Come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fin quando Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà». Pare la descrizione del Disastro del Gleno e di ogni altro disastro.

Siamo chiamati a convertirci nel senso che siamo tutti chiamati a cambiare il nostro modo di costruire: non solo le dighe, le case, i palazzi, ma tutto ciò che progettiamo nella vita familiare, sociale, civile, politica, e anche ecclesiale. Siamo chiamati a diventare più attenti, più vigilanti, meno spensierati, meno storditi.

Siamo chiamati a convertirci alla saggezza, alla prudenza, alla vigilanza, all’umiltà.

E sia la conversione! Tuttavia, in simili e in più gravi tragedie, viene comunque da chiedersi: «Ma Dio dov’è?». Ci risponde ancora Gesù. Nel Vangelo di Marco (13, 29) dice:«Quando vedrete succedere di queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte» e in quello di Luca insiste: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina… Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino».

Mi viene da pensare con commozione alla notte di quel Natale del 1923. La liturgia natalizia dice ogni anno: «Mentre la terra era immersa nel più profondo silenzio e la notte era a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, scese dal cielo». Quell’anno Bueggio, il primo paese devastato dalla piena, il silenzio era totale, interrotto solo da qualche singhiozzo contenuto. Mentre le campane annunciavano dappertutto la nascita del Signore, lì non suonavano perché non c’erano più: il Disastro aveva portato via anche la chiesa e il campanile. Ma il Signore era vicino, più vicino che altrove e si faceva luce confortatrice.

Il Signore è vicino sempre, soprattutto nelle ore più buie, personali e sociali, e ci dice che un mondo diverso (in cui regna la volontà di Dio, un mondo più saggio, più giusto, più fraterno) è possibile, è addirittura a portata di mano. Ed egli è vicino e ce ne indica il segreto: «Chi ascolta la mia parola e la mette in pratica è come uno che costruisce sulla roccia; può succedere qualunque disastro, ma la sua costruzione non crollerà» (Mt 7,24ss) e «Anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi» (Gv 14,12).

Il ricordo delle centinaia di vittime del Disastro del Gleno ci spinge a prendere sul serio questi appelli di conversione a tutti i livelli, perché non siano morti invano.

IL TUO PARERE

“Del buon uso delle malattie”, diceva Pascal. “Del buon uso dei disastri”, si potrebbe dire. Si potrebbe dire? O è meglio non dire?

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