Andare e vedere. Quante volte nel tempo di Natale abbiamo sentito ripetere questi verbi. Andiamo fino a Betlemme. Andate ed informatevi. La stella, che avevano visto nel suo sorgere. Vediamo ciò che è avvenuto. Videro il Bambino. Gesù, nel suo entrare nel tempo, ha avuto bisogno di persone che si mettessero in cammino e che fossero capaci di vedere e contemplare. Maria e Giuseppe, i pastori, i magi, conosciamo bene la loro storia.
E mai come a Natale siamo soliti ancorarci stabilmente su divani, poltrone e sedie attorno ad un tavolo. Si riscopre così il piacere della lentezza, che a Natale ci si regala tutti, ma forse regalo ancor più bello sarebbe la possibilità di aprire gli occhi alla bellezza con un muoversi che non è la solita corsa verso le fatiche quotidiane.
Nelle nostre chiese restano spesso dimenticate, o non osservate da tutti gli occhi che meriterebbero, alcune splendide opere, alcune delle quali ci raccontano il Natale.
Iniziamo il cammino, dunque, dalla piccola chiesa del Santuario del Monte Zuccarello collocato su un’altura, facilmente raggiungibile, appena sopra Nembro. La chiesa accoglie, nella cappella laterale di destra, una bella Natività di Gesù di Enea Salmeggia, anticamente collocata sopra l’altar maggiore e realizzata intorno agli anni venti del ‘500. L’opera, non realizzata per il santuario ma ceduta poi da un benefattore, ci mostra l’episodio della nascita con una composizione calcolata e ben studiata, secondo tutti i dettami accademici cinquecenteschi, ma resa familiare da una marcata descrizione dei dettagli più intimi del momento. Nella solennità dell’evento, segnalato dall’aprirsi dei cieli, cogliamo nei gesti la cura e la dolcezza della madre che copre la creatura generata con amorevole contemplazione, lo stupore e l’orgoglio del padre, la meraviglia e lo sconcerto di un pastore nel trovarsi di fronte ad una grandezza tanto fragile. Un’opera che, “nella maniera di dipingere e colorire, di pochi pari” del Salmeggia, ci mostra una versione confidenziale e quotidiana dell’evento.
Poco lontano, nella chiesa di S. Giorgio Martire di Nese, ci aspettano due tele “gemelle” realizzate un secolo dopo da Carlo Ceresa (1635-40). Una splendida adorazione dei pastori e un’adorazione dei magi. Due opere brulicanti di personaggi tutti raccolti intorno al «luogo dove si trovava il bambino». Molti, teneri e immoti gli attori di questo teatro sacro, dove mai movimenti troppo esibiti si intromettono a turbare la pacata messa in scena dalle campiture terse e dal disegno nobile e regolarizzato. La luce, le luci, la fanno da padrone perché Ceresa ben ricorda che il Natale non è altro che una manifestazione, un venire alla luce. Una luce intensa che nella prima adorazione arriva dall’alto, dall’angelo che in volo manifesta la gloria divina, e scende fino al bambino aprendosi con forza un varco tra persone stupite e adoranti; una luce forte che nella seconda opera arriva da sinistra, investendo manti, schiene, braccia, turbanti per condurci al vestito, al volto della Vergine e alla figura del neonato, accesi da una luce leggera. Luci decise, che ricordano, come la piccola stella, quasi dimenticata, in alto, che la vera luce è qui, si è manifestata tra gli uomini.
Un’ultima traccia di bellezza del Natale la possiamo cogliere nell’adorazione dei magi di G. P. Cavagna collocata nel Museo del Tesoro della Basilica di Alzano Lombardo per evitare il rischio dell’oblio nella chiesa di S. Martino. Un’opera ricca dove il Cavagna indaga con grande attenzione ogni oggetto della composizione, con un’estrema fedeltà al vero, creando un’immagine la cui gravità è arricchita dai dettagli precisi e stemperata da una rassicurante serenità, in un’atmosfera senza tempo. Un’originale e significativa realizzazione di grande rigore naturalistico e ritrattistico in cui la tensione e la serietà del momento vengono aumentate dall’accurato studio della luce che pone in risalto i personaggi congelandone le solenni pose.
Andare e vedere, dunque, un racconto di Natale ricco e prezioso, al ritorno dal quale non si può fare a meno che sentirsi un po’ pastori al ritorno dall’incontro col Bambino, i quali «tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato loro annunciato».