Auguri estroversi

«Spirito Santo, donaci il gusto di sentirci estroversi. Rivolti, cioè, verso il mondo, che non è una specie di chiesa mancata, ma l’oggetto ultimo di quell’incontenibile amore per il quale la Chiesa stessa è stata costituita. Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle vele perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso impegno missionario ci solleciti a partire»

E’ il caso di partire, ancora una volta, dall’indimenticato don Tonino Bello per ragionare attorno a questa inedita e straordinaria stagione ecclesiale con un Papa – Francesco – che sta mettendo a dura prova la resistenza dei cristiani. Specie di quelli, e non sono pochi, asserragliati nel recinto, nostalgici di un tempo e di una Chiesa che non ci sono più. Mi capita spesso di essere invitato a parlare nelle nostre comunità. Rimango, ogni volta, impressionato dai rigurgiti identitari (normalmente imputati ai credenti delle altre religioni) che vi soffiano con forza. Con esiti e tentazioni che sono sotto gli occhi di tutti. E da tutti accettati troppo supinamente. Tra questi, la rassegnazione. Anche quando si riesce a non rimpiangere il tempo passato, c’è una fascia consistente di cristiani che si limitano, con molta buona fede e non senza amarezza e inquietudine interiore, ad andare avanti, a una sorta di routine, governando il governabile, cioè le 99 pecorelle (che nel frattempo sono diventate 25-30) perché la pecorella smarrita (nel frattempo moltiplicata per settanta) è assorbita dall’indifferenza dell’età e del vuoto, e dunque irraggiungibile.

 I SEGNI DEI TEMPI

Per questo, all’inizio di un nuovo anno, credo sia importante riprendere la categoria dei “segni dei tempi”. Lo sappiamo: ogni tempo ha le sue ricchezze e le sue pene, i suoi segni di speranza e i suoi abissi. Tutti i tempi sono tempi di crisi, di passaggio, di cambiamento; nessuna età della storia umana è stata un’età di progresso inarrestabile, stabilità, saggezza, benessere. Dunque il tempo che ci è dato da vivere non è migliore o peggiore di altri tempi. Però ci è chiesto di viverlo con passione, tentando di intravedere in esso i pertugi dentro cui, spesso in modo inedito e sorprendente, Dio si fa trovare. Dopo l’incarnazione la grande basilica dove i cristiani trovano le tracce del Dio di Gesù è il mondo. La storia è il luogo teologico dove Dio si fa trovare. Per fare questo, occorre cercare di vivere la “simpatia” piuttosto che l’antipatia verso il mondo, sforzarsi di vivere la “compagnia” con le donne e gli uomini del nostro tempo e, invece di barricarsi e difendersi da un nemico, avvertire che «la cultura attuale non è deprecabile; è invece il kairos, il momento opportuno per raggiungere ciò che ci sta più a cuore» (Silvano Fausti). La sfida è la compagnia con gli uomini del nostro tempo, l’ascolto dei soffi più nascosti della ricerca del senso della vita, che ci sono anche nei più assorbiti nella cultura apparentemente dominante dell’età del vuoto. Attraverso la gioia, l’allegria dei credenti. Non attraverso sguardi risentiti attanagliati da voglie di rivincita.

Ce lo diceva bene l’incipit della Gaudium et Spes. Datata finche si vuole ma capace di indicare un metodo e uno stile che molto somiglia a quello di Gesù di Nazareth: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

 DISCERNERE CON OCCHI DI VANGELO

Certo, ci è chiesto l’impegno di discernere, parola che, secondo l’etimologia latina, vuol dire “dis-cernere”, ossia separare due volte, oppure separare doppiamente (in senso quindi intensivo). L’applicazione tipica del termine riguardava la separazione della farina dalla semola per mezzo del setaccio. Contiene quindi l’idea di dividere minutamente le cose, per conservare ciò che utile ed eliminare ciò che non lo è. O come ben dice la prima lettera ai Tessalonicesi, “discernere” significa essenzialmente avere la pazienza di «esaminare tutto e ritenere ciò che è buono» (1 Tess 5,21). Magari cominciando a recuperare luoghi comunitari (oggi per lo più azzerati) e strumenti di osservazioni per la lettura del discernimento. Sempre con gli occhi di Vangelo. Occhi stupiti, capaci di intravedere germogli là dove spesso noi vediamo solo semi di morte.

IL TUO PARERE

Potrebbe essere interessante cercare di individuare i “segni dei tempi”. Proviamo a citarne alcuni…