Mamma Rai

“No, Non è la Bbc, ma è la Rai, la Rai tv…”. Era questo il simpatico e ironico ritornello di una vecchia trasmissione radiofonica di Renzo Arbore & Gianni Boncompagni dedicato alla Rai – Radiotelevisione Italiana che quest’anno festeggia i 60 anni di vita e 90 anni di radio.

Non è un momento facile per la televisione “tradizionale”: se una volta era normale ritrovarsi tutti davanti ai quiz di Mike Bongiorno, oggi ci sono i canali digitali, da Real Time a DMax, quelli tematici, le trasmissioni satellitari, le reti on demand, lo streaming sul web, che ormai si vede anche sulle smart tv ad alta definizione. Non esiste più un solo pubblico “generalista” ma molti pubblici diversi, ognuno dei quali ha le sue preferenze.

La Rai come risponde? Come guarda al futuro? Ha moltiplicato, sì, i canali, e poi? È tutto da vedere. Intanto ecco una mostra 1924–2014. La Rai racconta l’Italia, presentata nei giorni scorsi nella Sede Rai di Via Mazzini a Roma, dove abbiamo incontrato alcuni dei curatori, tutti grandi protagonisti della Rai di ieri e di oggi. Ne è uscito un caleidoscopio di voci. Del resto, ricorda Piero Angela «la televisione e la radio hanno rappresentato il nostro Paese aggiornando gli italiani. Quindi anche la scienza e la tecnologia sono due strumenti per rendere partecipi gli spettatori del nostro tempo». A Piero Badaloni, storico conduttore del Tg1 tra gli anni 1980 e 90 abbiamo domandato che cosa chiede lo spettatore medio alla Rai. «A mio giudizio chiede qualità anche nell’intrattenimento. Non credo che si debba puntare troppo sulla cronaca nera. Si potrebbe puntare sulla good news non solo sulla bad news, perché non è vero che il pubblico ragiona sempre e solo con la pancia, anzi, ragiona con la testa e vuole ragionare sempre più con la testa».

Ma la Rai svolge ancora il suo ruolo di servizio pubblico?

«Secondo me lo svolge e continua a svolgerlo forse più sui canali tematici che non su quello generalista. Questo è un segno dell’evoluzione dei tempi, perché il più attento, quello più attivo, che interagisce è il pubblico, anche se è ancora minoranza, dei canali tematici. La maggioranza continua a seguire il canale generalista ma dal punto di vista di proiezione verso il futuro è una minoranza rispetto all’altra».

Durante la recente udienza in Vaticano per i vertici e i dipendenti Rai in occasione dei sessant’anni della televisione pubblica, Papa Francesco tra le altre cose ha detto che «il servizio pubblico deve formare».

«Il Papa ha ragione! La Rai ha formato gli italiani, nel bene e nel male. La mia sezione nella mostra è quella dedicata alla “Società”. Qui cerchiamo di capire come e quanto la Rai ha interagito con la società e come e quanto la Rai ha inciso sul suo processo evolutivo. Era un punto di vista importante per verificare quanto ha svolto come servizio pubblico il suo compito fondativo. Nella prima parte della sua vita la televisione pubblica ha svolto alla grande questo compito, ricordiamo che la maggioranza della popolazione era analfabeta, nella seconda fase la Rai ha viaggiato in sincrono con la società. Adesso a mio giudizio, quella che viaggia in sincrono è più la Rai tematica che la generalista».

A volte la Rai ha anticipato i cambiamenti della società.

«Sì, penso alla trasmissione di Nanni Loy del 1964 Specchio segreto che ha fotografato pregi e virtù degli italiani, rappresentando lo specchio della nostra realtà di allora».

Non crede anche lei che ci siano troppe trasmissioni dedicate ai dibattiti politici?
«Troppe… sono diventate troppe… è tutto un chiacchiericcio che alla fine fa male alla politica…»

Qual è il ricordo più emozionante legato alla sua carriera?

«L’attentato al Papa del 13 maggio ’81 e l’edizione straordinaria che mi venne affidata… non si sapeva nulla… all’inizio le notizie erano molto vaghe. Giovanni Paolo II fu ferito alle 17,35 noi aprimmo la straordinaria che andò avanti fino alle 20 e devo dire – scherzando – che mi ha salvato Ali Agca! Quando arrivò la notizia che era stato individuato chi aveva sparato al Santo Padre, almeno c’è stato qualcosa da dire e su cui ragionare».

In questi casi un bravo giornalista riesce a trattenere l’emozione?

«Non siamo dei robot! È chiaro che anche i conduttori provano emozioni, è stato l’allenamento alla conduzione del Tg che mi ha insegnato a staccare e a tenermele dentro. In certi casi l’impatto emotivo – vedi la tragedia di Vermicino (1981) – sugli spettatori è fortissimo. Allora chi conduce deve tenerne conto, occorre fare da filtro per evitare che la parte di quel pubblico più fragile ne risenta troppo».

Difetti e pregi dei telegiornalisti del Terzo Millennio?

«Se facessero un po’ di gavetta prima di andare in video non sarebbe male!».

A Bruno Vespa abbiamo ricordato la frase di Giulio Andreotti che definì la sua trasmissione Porta a porta “la terza Camera”.

«Andreotti – sottolinea lui – diceva che quando parlava in Senato nessuno lo riprendeva però se veniva nella mia trasmissione lo riprendevano tutti. Una definizione certamente ironica ma per me molto lusinghiera. Comunque anche nella X Repubblica la Rai ci starà sempre».

All’ex telecronista sportivo Bruno Pizzul abbiamo domandato un commento sul vero amore degli uomini italiani: il calcio. «Le partite di calcio in Italia sono sempre importanti, però sarebbe il segno di maggiore cultura sportiva se ci fosse una distribuzione diversa degli spazi e delle attenzioni mediatiche fra il calcio e le altre discipline sportive. In Italia c’è una prevalenza del calcio che finisce non solo per danneggiare le altre discipline ma lo stesso calcio, perché quando si parla troppo di qualcosa si finisce per straparlarne. Per gli italiani più che lo sport è importante vincere, da noi l’importante è non perdere, vincere le partite e questa non è una grande cultura sportiva».

Marcello Sorgi già direttore del Tg 1 e del quotidiano La Stampa del quale è editorialista si è detto convinto che la Rai sia da sempre portatrice di valori etici: «Alla Rai si sta attenti a ciò che va in onda, su alcune materie sensibili ci si sta molto più attenti. Il pubblico è vasto e quando si entra nelle case occorre educazione». Giancarlo Leone, direttore di Rai intrattenimento, dichiara: «Il pubblico ha dimostrato grande attenzione verso le storie che hanno a che fare con le radici culturali cattoliche del nostro Paese, sia persone che rappresentavano ufficialmente la Chiesa sia persone che ne erano vicine: Papi, Santi, ecc… Abbiamo sempre avuto una grande attenzione verso i temi etici, la stessa fiction da poco terminata su Rai 1, Un matrimonio diretta da Pupi Avati, ha raccontato la storia di una famiglia che al di là delle difficoltà resta unita. Del resto Rai 1 è per definizione “la rete della famiglia”».