Il cielo nel cuore

Manca ormai meno di una settimana alla canonizzazione. Anche noi, per questa occasione, vi presentiamo un racconto a puntate dedicato a Papa Giovanni, che si concentra sulla sua infanzia e la sua giovinezza, il momento in cui è maturata la sua vocazione. Ringraziamo la Fondazione Papa Giovanni XXIII per i materiali che ci ha messo a disposizione, e allo stesso tempo precisiamo che si tratta di un racconto “fantastico”, lieve, che poggia su dati biografici e su attente letture, ma lascia spazio anche alla fantasia. L’illustrazione è di Matteo Gubellini.

C’è il sole e il cielo è nitido, da cartolina. L’anziano cardinale Roncalli, pensoso, osserva la sua ombra scivolare sul sentiero. “Facciamo due passi” dice al suo segretario. Si incamminano lenti sulla collina. C’è un punto preciso che vuole raggiungere, è quello dove da bambino andava a stendersi sull’erba per guardare il cielo. Un posto che era solo suo, dove poteva lasciar correre i pensieri con le nuvole.

Gli è capitato più spesso, ultimamente, di pensare alla morte. Non con tristezza, no. Guardandosi indietro, si sente sereno. Sente ancora nel cuore quel vento forte che lo ha portato in giro per il mondo: in Bulgaria, a Istanbul, a Parigi.

Ora che è il patriarca di Venezia è più vicino a Sotto il Monte ma le occasioni per tornare sono sempre rare e preziose. Per questo è davvero felice di trovarsi a casa sua, dove il mondo ha un ritmo diverso e la vita sembra assestarsi ancora su antichi equilibri. Dove la memoria gli regala una carezza, dove anche la nostalgia ha un buon sapore.

Mentre girava per il paese, un bambino gli ha chiesto: “Ma quand’è che hai deciso di diventare prete? E quel colletto, non ti dà fastidio?”. “Che strana domanda da fare a un cardinale”, lo ha zittito la mamma, tirandogli uno scappellotto, e poi ha mormorato “scusi”, tenendo gli occhi bassi, e lo ha portato via piangente. “Che peccato, gli avrei risposto volentieri” pensa adesso l’anziano sacerdote, che ha esitato un momento, sì, ma non per l’imbarazzo, solo perché la sua mente ha catturato subito un ricordo. E poi un altro, e un altro ancora. E si è accorto, in un attimo, che per rispondere davvero avrebbe avuto bisogno di più tempo. Di più di un racconto. Ma adesso che si trova lì, sulla sua collina, avvolto dal calore dolce di una mattina di fine estate, il suo sguardo si appoggia al conforto di un paesaggio che conosce bene, e può lasciare che le immagini, che i pensieri corrano via, di nuovo, con le nuvole.

IL COLLETTO DI DON FRANCESCO

Servire Dio, fare il prete: che parole grandi, quando era bambino. Ora, dopo tanti anni, era certo che quella fosse, da sempre, la sua strada. Ma com’è che l’aveva capito? Com’era successo? Quando ci pensava, gli sembrava che fosse accaduto spontaneamente, ma non in modo scontato, senza fatica, senza paura. Questo no.

Ripensò a suo zio Zaverio: quando lui era ancora piccolo ogni mattina si alzava prestissimo, più o meno alle cinque, lo andava a prendere nel suo letto e lo portava, ancora addormentato, in chiesa. Lo appoggiava delicatamente su un banco e insieme ascoltavano la prima Messa. Poi lo zio lo riprendeva in braccio e lo portava a casa.

«Ti piacerebbe diventare prete?» gli chiedeva ogni tanto la sua cuginetta. «Perché me lo chiedi?» replicava Angelino, un po’ infastidito. «Te ne stai tutto il giorno a guardare don Francesco…». «Lo faccio perché mi incuriosisce – osservava il ragazzo -. Dev’essere bello celebrare la Messa, pregare, parlare di Gesù alla gente, però non sopporterei di andare in giro anch’io con la gonna, e con quel collarino così rigido».

«A me sembra elegante la sua tonaca – diceva la cuginetta -. E poi non credo che il collarino gli faccia male, anche se ogni tanto ci passa il dito, come se gli desse un po’ fastidio. Perché non glielo chiedi?». Ma Angelino non osava.
Don Francesco però aveva notato che lo sguardo del ragazzo gli correva sempre al collo, e così un giorno gli disse: «Angelino, non fare il prete. Vedi questo colletto così alto e duro? A noi ci fa sempre dei tagli al collo e ci fa male, sai?». Il ragazzo a quel punto prese il coraggio a due mani e chiese al parroco di chinarsi. Passò il dito sul colletto e commentò: «Non è vero don Francesco, non può farle male. Non c’è il segno dei tagli».

C’erano altri uomini vestiti in modo strano che frequentavano spesso casa Roncalli: camminavano a piedi scalzi, con un ruvido saio, cinti da un cordiglio bianco. Erano i frati francescani del convento di Baccanello. Angelino, incuriosito, un giorno chiese loro: «Anche voi siete preti?». «Sì, certo» risposero loro, e narrarono al ragazzo la storia di San Francesco.

“Fa’ di me uno strumento” sussurra il cardinale, nel silenzio della collina. E sorride, pensando a quanto quella frase sia diventata, profondamente, anche sua.

1.continua.

Illustrazione di Matteo Gubellini

Papa Giovanni guarda le colline