A proposito del celibato dei preti

Anche il nostro settimanale da qualche tempo dà spazio al tema del celibato dei preti. Anni fa, era impensabile che se ne scrivesse pubblicamente. Oggi si fa. E credo che, tutto sommato, sia bene così. Il proverbio «un bel tacer non fu mai scritto» è normalmente inteso come una raccomandazione a tacere. Invece è il contrario: un bel tacere, un silenzio anche bello, non essendo scritto, non lascia traccia. È il parlare, soprattutto lo scrivere, che resta. Scripta manent. E allora, siccome il tema del celibato ecclesiastico è di quelli che contano, parliamone, scriviamone: per sapere, per capire, per discutere, con retta intenzione, con buona volontà, per avvicinarci il più possibile «alla verità tutta intera». Con questo mio intervento non intendo presentare una tesi, la mia tesi, sull’argomento. Mi propongo molto semplicemente di offrire alcuni punti, elementarissimi, per una discussione centrata.

NON È UN DOGMA

Innanzi tutto, ammettiamolo e diciamolo chiaro: Il celibato dei preti non è un dogma di fede. È una legge della Chiesa. Quindi la Chiesa come l’ha messa, questa legge, la può anche togliere. L’ha detto perfino Papa Francesco sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa. Quelli che vorrebbero che la Chiesa togliesse questa legge si appellano all’incontestabile motto biblico: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18). E la Bibbia, si sa, è parola di Dio. E la parola di Dio è la parola di Dio. Non si può non tenerne conto. Quelli che invece sono per il mantenimento della legge del celibato si riferiscono pure alla Bibbia e in particolare a quello che dice S.Paolo in 1 Cor 7, 7-8: «Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno riceve da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno dominarsi si sposino: è meglio sposarsi che bruciare». E anche questa è parola del Signore. Come si fa a ignorarla?

La Chiesa non può imporre il celibato. Lo dice sempre S. Paolo. Nel brano citato l’Apostolo definisce il celibato un dono di Dio. Un dono fra altri doni. Dono di Dio è il matrimonio, dono di Dio è il celibato. A ciascuno il suo. Se uno non ha il dono del celibato, si sposi. Sorridendo S.Paolo osserva; «È meglio sposarsi che bruciare».

La Chiesa Cattolica di rito latino lungo i secoli ha deciso di ammettere al sacerdozio solo quelli che manifestano di avere il dono della vocazione al celibato. Le motivazioni di questa decisione (le vedremo dopo) si possono discutere, ma la decisione è legittima. Alla Chiesa infatti è stato dato da Gesù il potere di «legare e sciogliere» (Mt 18, 18).

LE RAGIONI

Le ragioni, discutibili ma legittime, di questa scelta sono innanzi tutto di tipo spirituale e poi di opportunità pastorale.

Alle ragioni di tipo spirituale fanno pensare le parole del Signore stesso quando in Matteo 19, 12 parla di «quelli che si rendono eunuchi per il regno di Dio». Questi “eunuchi” fanno la loro scelta liberamente («si rendono eunuchi») perché cercano innanzi tutto il Regno di Dio e la sua giustizia. «Non tutti capi-scono questa parola – dice Gesù – ma solo coloro a cui è stato concesso» (è appunto un dono, come si diceva prima) e conclude: «Chi può capire capisca».

Si tenga presente che Gesù pronuncia queste parole sul celibato subito dopo aver parlato del matrimonio nel piano di Dio Creatore che «li fece maschio e femmina» (Mt 19, 3-6) e Gesù fa questo discorso senza aver l’aria di contraddirsi con il «non è bene che l’uomo sia solo». A ragioni connesse con l’opportunità pastorale fa riferimento S. Paolo quando, in 1 Cor 7, 32-34, scrive: «Io vorrei vedervi senza preoccupazioni: chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso!».

La discussione non dovrà essere sulla validità delle ragioni della scelta della Chiesa in un senso o nell’altro, perché, come s’è visto, le ragioni si fondano in ogni caso sulla parola di Dio e quindi è il Signore stesso che garantisce la loro validità. La discussione dovrebbe avvenire soppesando la validità spirituale e l’opportunità pastorale dei due corni della scelta (il celibato e il matrimonio), tenendo presente che altri criteri di scelta (sociologico, culturale, democratico…) pur importanti, in ambito ecclesiale non dovrebbero avere un peso decisivo.

UNA TESTIMONIANZA

Prima di chiudere, una testimonianza personale. Quand’ero in Svizzera, ebbi modo di parlare di questo argomento con due amici protestanti, il Pastore François Jacot, ora emerito della Collegiale di Neuchâtel, e sua moglie Marianne. Il pastore mi disse: «Se voi cattolici doveste abolire il celibato dei preti per risolvere il problema delle vocazioni, sbagliereste. Noi riformati abbiamo i pastori sposati, ma abbiamo molto meno vocazioni di voi». E Marianne, dopo avermi fatto descrivere i miei impegni di cappellano degli emigranti, mi disse: «Se tu fossi sposato non potresti fare neanche un terzo delle cose che fai. La famiglia ha le sue esigenze».

C’è di che riflettere.