Don Massimo Cornelli: anche in Costa d’Avorio ci inventiamo il Cre

Don Massimo Cornelli, di Almenno San Salvatore, dopo il primo incarico nella parrocchia di Cene, da gennaio 2008 si trova nella Parrocchia Saint Maurice ad Agnibilikrou, in Costa d’Avorio. Una scelta nata per caso, durante una settimana di formazione per i curati d’Oratorio a Siusi: “Il compianto vescovo Amadei – racconta don Massimo – scherzando con noi diceva che doveva mandare una persona in Costa d’Avorio. Da subito mi son detto: perché no? E così in quegli stessi giorni ho parlato con il vescovo condividendo con lui questo pensiero. Durante il nostro incontro mi ha dato consigli e mi ha chiesto di riflettere ancora prima di dargli questa disponibilità”.
Disponibilità che Massimo conferma al vescovo pochi mesi dopo, partendo verso questa nuova parrocchia, in un Paese dove non aveva mai messo piede prima d’ora. Un Paese che, dopo la crisi post-elettorale del 2010-2011, dove ci sono stati scontri e morti, è in un momento di stabilità, seppure la situazione sia delicata: “C’è poca sicurezza perché i ribelli che hanno permesso al nuovo presidente di prendere il potere si sono automaticamente proclamati soldati – spiega don Massimo -, per cui li si trova in ogni città e paese a fare degli sbarramenti cercando soldi. Per il nuovo presidente è praticamente impossibile intervenire e fare scelte: da una parte perché non si può integrare tutti nell’armata, dall’altra perché se li mandasse tutti a casa, si rivolterebbero. Come spesso succede, si fanno tante promesse a livello politico, ma la realtà è ben altra. Naturalmente attraverso i mass-media si mostra all’estero il meglio, per ben apparire, ma non è tutto oro quello che luccica”. Nella parrocchia in cui opera don Massimo ci sono 14 villaggi, sette seguiti da lui e sette dal parroco; i più vicini si trovano a qualche chilometro dalla città, i più lontani a 50 km. Vi sono poi alcuni “campements”, piccole frazioni con 200-300 abitanti, mentre altri “villages” sono veri e propri paesi, con 5.000 abitanti. In alcuni di questi villaggi ci sono progetti di costruzioni di chiese e scuole, grazie al sostegno economico della Diocesi di Bergamo, ma anche all’impegno dei cristiani locali, che con i loro risparmi contribuiscono alla costruzione di queste strutture. La diocesi di Bergamo da più di trent’anni infatti manda i propri missionari a Abengourou, per via della mancanza di sacerdoti, non senza qualche difficoltà: “Le problematicità più grandi sono legate alla diversità di culture e tradizioni: non è sempre facile entrare in un contesto totalmente diverso da quello in cui si è vissuto e cresciuto. Ad esempio l’accettare quella che chiameremmo “mafia”, nel senso che per tutto ciò che è pubblico per ottenere qualcosa devi sempre essere pronto a “sganciare” qualche cosa sottobanco. Ora la Chiesa cattolica è in forte crescita e con tanta voglia di fare, ma essendo una chiesa giovane ha ancora bisogno di strutturarsi, di maturare, di fare scelte coraggiose, anche rispetto a certe tradizioni che non sempre sono in accordo con la morale cristiana”. Le attività che don Massimo svolge in parrocchia sono legate in modo particolare alla pastorale dei bambini e dei giovani: “È molto raro che si battezzi i bambini da piccoli e quindi c’è il cammino di preparazione che dura quattro anni per poter accedere ai Sacramenti dell’iniziazione. C’è il catecumenato dei ragazzi, verso gli 8 anni, quello dei giovani rivolto agli adolescenti, quello degli operai, per chi lavora, ed infine quello nelle differenti lingue locali, per chi non ha fatto le scuole e non conosce il francese. Oltre catechesi sono previsti momenti di ritiri spirituali e pellegrinaggi”. Don Massimo è riuscito anche ad esportare una sorta di Cre: “Da quando sono arrivato viviamo l’esperienza della “Semaine des Enfants” (settimana dei bambini): una settimana a fine luglio per bambini e ragazzi sull’idea del CRE. È un’ iniziativa che ha preso piede e che da quest’anno, attraverso delle formazioni con i giovani, stiamo cercando di espandere in tutta la Diocesi”. Sempre con i giovani ed adolescenti, si organizzano degli incontri mensili di formazione pedagogica per educarli a seguire i bambini e i ragazzi, sia per le attività che riguardano tutti i bambini, sia per aiutarli a seguire meglio i gruppi esistenti sulla Parrocchia dell’Azione Cattolica, gli Scout, i Chierichetti, “les Anges” et les “Goretti”; quest’ultimi sono gruppi, il primo di bambine, il secondo di adolescenti, che hanno l’incarico di animare le Messe solenni con la danza. Non manca neppure il teatro. Vissuto come occasione importante di formazione: “L’ultimo lavoro che stiamo proponendo – prosegue don Massimo – è il “Risorto”, un musical italiano sulla passione, morte e resurrezione di Gesù tradotto in francese. Riteniamo che al di là di poter presentare messaggi importanti attraverso il teatro a chi viene ad assistere, è un’occasione importantissima e preziosa di formazione: i tempi di preparazione di uno spettacolo, le fatiche nella realizzazione, a volte qualche piccola sconfitta, la costanza e l’impegno nel cercare di renderlo il più bello possibile, la riflessione e la preghiera sui testi che si presenteranno, diventano dei veri momenti di formazione umana e spirituale ai valori importanti della vita”. Non da ultimo, come missionari, c’è tutta l’attenzione alle povertà, con l’aiuto concreto alle famiglie in difficoltà. Tra i vari incontri ed esperienze di questi anni di missione, don Massimo ci vuole raccontare l’incontro con Stephanie, una ragazza di 14 anni del villaggio di Tankouankankro: “Qualche anno fa, andando al mercato nel villaggio vicino, ha avuto un incidente: una moto passava ad alta velocità sulla pista, vedendo un gruppo di bambini che attraversava ha cercato di frenare e scivolando ha centrato questa bambina in faccia, aprendogli la fronte. Il solo viaggio verso la capitale è stato un calvario: tutto dipende dai soldi. All’ospedale un dottore ha chiesto 500 euro solo per visitarla e dire che non c’era niente da fare. È stato solo grazie all’intervento economico del presidente della repubblica che Stephanie ha potuto essere trasportata in una clinica privata e dopo vari interventi chirurgici essere salvata. A causa di questo incidente è rimasta cieca. E’ rimasta per quasi un anno ad Abidjan, dove ha potuto imparare il francese; una volta rientrata al suo villaggio era tra i pochi che capiva e parlava il francese. Si è instaurata un’amicizia e così per un annetto, grazie all’aiuto di qualche volontario, per non lasciarla spesso sola al villaggio, visto che non può andare nei campi, la facevamo venire in città per una settimana al mese. I giovani che la seguivano, ogni mattina andavano a prenderla alla casa della zia e la portavano alla missione, dove si preoccupavano di farla giocare, ma anche di insegnarle qualche nozione scolastica e di catechesi. Nei giorni che era alla missione, si sentiva la sua presenza viva e gioiosa con la sua voce squillante: nonostante l’incidente e la cecità ha saputo con coraggio reagire e sprizza una voglia di vivere davvero ammirevole, tanto che è diventata la mascotte della missione. Ora da settembre abbiamo potuto iscriverla all’istituto per ciechi dove ha iniziato a riprendere la scuola che pian piano la porterà alla maturità”.