L’audacia di saper domandare e la forza della preghiera

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola (Vedi Vangelo di Matteo 15, 21-28. Per leggere i testi di domenica 17 agosto, ventesima domenica dell’anno “A”, clicca qui)

“Signore, aiutami!”, grida la donna disperata per la salute della sua figlia. Ma questa donna non è ebrea. Ha diritto anche lei a essere soccorsa e aiutata da Gesù?

GESÙ E LA DONNA PAGANA

Gesù, dunque, va dalle parti di Tiro e Sidone. Tiro e Sidone, però, appartengono alla Fenicia, il paese che sta al nord della Galilea. Dunque siamo in territorio pagano. I cananei, infatti, erano una popolazione che occupava la Palestina prima che vi si insediassero gli Israeliti che avevano lascito l’Egitto con l’Esodo. I cananei si ritirarono verso il nord e, con le loro tradizioni religiose, costituivano una continua minaccia alla fede ebraica. Questa era rigorosamente monoteista, mentre i cananei preferivano i Baal, le divinità della fecondità, più “utili” dell’austero Dio di Israele. Gesù, dunque, si trova di fronte questa straniera, questa cananea, e proprio da lei si sente chiamare “Figlio di Davide”. Dunque questa straniera sa chi è Davide, sa anche che Gesù discende dalla famiglia del grande re. La sua fama, evidentemente, si era diffusa in tutta la Siria, come dice lo stesso Matteo (4, 24) e quindi anche nella Fenicia.

In un primo momento Gesù rifiuta il miracolo che la donna gli chiede. Quello che Gesù dice qui va d’accordo con quanto dice altrove agli stessi discepoli: egli intende limitarsi agli ebrei. Israele è l’immediato destinatario di un messaggio che interesserà poi tutti. Questo è il progetto concreto con cui Dio intende raggiungere gli uomini: tutti attraverso Israele. Gesù esprime drasticamente questa concezione tradizionale usando i termini che la gente usava solitamente: gli israeliti sono i figli mentre gli altri sono i cani (animali spregevoli nella mentalità ebraica). Dunque ciò che la gente pensa à una dura prova per la donna e tutto sembra supporre che lei, la straniera, lei che appartiene ai cani, non ha nulla da sperare. Ma la donna mostra un’ammirevole intuito: non nega ciò che Gesù ha detto, ma lo sfrutta a suo vantaggio. Sì, è vero, dice di fatto la donna, io appartengo ai cani. Ma anche i cani hanno diritto di mangiare le briciole che cadono dalla mensa dei figli.

Di fronte a questa arditezza, Gesù deve constatare che spesso chi è “fuori”, che vive in paesi stranieri e non ha la fede degli ebrei, spesso ha più fede. Così succede con il centurione, il soldato romano che ottiene di salvare il suo servo moribondo, e così avviene adesso. Gesù ammira la fede di questa donna che appartiene al vasto mondo dei “senza fede” e guarisce sua figlia.

LA PREGHIERA PER CHIEDERE. CON CUORE DI FIGLI

Noi abbiamo la tendenza a portare Dio dalla nostra parte, a usarlo per sanzionare le nostre differenze. Invece Dio è quello che le abolisce. Dio non è dalla mia parte, siamo noi che decidiamo, se lo vogliamo, di essere dalla parte di Dio. Quando si è dalla parte di Dio, si è dalla parte di tutti, perché Dio è per tutti. È dentro questa fiducia che acquista tutto il suo rilievo, la preghiera. Il brano infatti è una bellissima “messa in scena” dell’efficacia della preghiera. Bisogna rivalutare la preghiera di domanda. Dobbiamo soltanto ricordare che bisogna domandare non con l’atteggiamento pretenzioso del figliol prodigo che vuole la sua parte di eredità, ma con quello fiducioso della donna che sa di non pretendere nulla e ottiene tutto. È sbagliato dire che non si deve chiedere: si deve chiedere tutto quello che vogliamo, anche la salute, anche il lavoro, anche la guarigione. Ma bisogna chiedere con lo spirito della donna cananea, che si affida senza riserve, lei la straniera diventata maestra dei credenti. Allora si può chiedere tutto.

Se non si ha il cuore di figli, finiremo come quel contadino di cui parla un antico autore spirituale. Il contadino ha ricevuto la notizia che il re in persona lo riceverà. È l’occasione della vita: potrà esporgli a viva voce la sua petizione, chiedere la cosa che vuole, sicuro che gli verrà concessa. Arriva il giorno fissato, il buon uomo, emozionatissimo, entra alla presenza del re, e che cosa chiede? Un quintale di letame per i suoi campi! Era il massimo a cui era riuscito a pensare. Non avendo il cuore di figli, invece di chiedergli quello che il suo cuore di Padre può darci, gli chiede solo quello che la nostra poca fantasia sa immaginare. E finiamo di perdere, sempre, l’occasione della vita.